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ISOBEL CAMPBELL e MARK LANEGAN – Viper, Firenze, 27 novembre 2010

Lui. Lei. C’è poco altro da dire sulla coppia Isobel Campbell/Mark Lanegan.
Due mondi all’apparenza opposti, inconciliabili, ma che in quattro anni hanno saputo regalare a pubblico e critica tre album ottimi, che si muovono, di volta in volta, tra le radici del blues, del folk, del country e del pop più elegante. L’ultimo, Hawk, è un altro splendido esempio di come queste personalità musicali così distanti siano riuscite, insieme, a dare vita ad uno dei progetti più interessanti degli ultimi anni.

Due mondi opposti, dicevamo; lui, statunitense, ex frontman degli Screaming Trees, lei, scozzese, ex cantante e violoncellista dei Belle And Sebastian. Il diavolo e l’acqua santa. La bella e la bestia. Le definizioni su questa strana coppia si sprecano, ma vengono tutte dimenticate non appena i due salgono sul palco fiorentino del Viper. Infatti, ancora una volta, è la musica a farla da padrone, a raccontare il non detto, ad emozionare come in poche altre occasioni.

Lo show ha inizio con “We die and see beuty reign” e “You won’t let me down again” da Hawk. E’ chiara fin da subito l’alchimia che scorre tra la graziosa Isobel e il tenebroso Mark: le voci si amalgamano e creano quel mix unico fatto della dolcezza e della soavità di lei, e dell’inconfondibile timbro rauco, profondo, di lui.
Poi, la murder ballad “Come undone”: tra i pezzi migliori dell’album, la resa live non delude, anzi, diventa emblema dello scambio sensuale tra le due voci. E non potrebbe essere altrimenti: lei, una femmina con la perfetta voce da femmina, lui, un maschio con la perfetta voce da maschio.
Il country di  “Snake song”, magnifica cover dell’immenso folk-singer texano Townes Van Zandt, conferma le sonorità da midwest americano che ricorrono dal primo Ballad Of The Broken Seas.
E proprio dal loro primo album, Isobel Campbell e Mark Lanegan tirano fuori alcuni degli episodi più convicenti ed emozionanti della serata: “Honey child what can I do?”, “Ballad of the broken seas”, “The circus is leaving town”, nella quale è la voce di Lanegan la vera protagonista, si susseguono una dopo l’altra, creando un’atmosfera e un’intimità tali da coinvolgere completamente il pubblico nella magia della musica.
“To hell and back again” prosegue sulla scia della suggestione da entroterra statunitense, quasi a voler omaggiare non solo le influenze country e blues di Hawk, ma dello stesso Mark, richiamando alla mente la bellissima cover che fece nel 1993 di “She’s not for you” di Willie Nelson.

Siamo a metà concerto, e Lui lascia il palco tutto a Lei: approfittando di una pausa per le tanto amate sigarette, Mr. Lanegan esce momentaneamente di scena, fornendo a Isobel l’occasione di esibirsi in un altro dei pezzi storici di Ballad Of The Broken Seas, ovvero la bellissima “Saturday’s gone”, ispirata alla vita di Marianne Faithfull. L’assenza di Lanegan è giustificata, perché consente di mostrare come l’artista scozzese possa dare il meglio anche da sola; la Campbell ha infatti scritto tutti i pezzi del disco e ne ha curato tutti gli arrangiamenti.
Si riparte insieme con “Back burner”, da Sunday At Devil Dirt, dove la voce di Mark si insinua alla perfezione tra le pieghe quasi tribali della melodia, e con il pop rurale di “Time of the season”; “Come on over (turn me on)” ci riporta tra i sentieri della perfetta simbiosi vocale della coppia, attraverso il notturno strisciante della canzone, sensualmente sospesa tra quiete ed enfasi, mentre la successiva “Get behind me” alza il tiro con il suo rockabilly incalzante.

Ormai il concerto è quasi agli sgoccioli, annunciato dalla seconda uscita di Lanegan.
La tormentata “Revolver”, scritta da lui, è indiscutibilmente uno dei pezzi migliori del primo disco, in cui è evidente quanto all’ex Screaming Trees risulti naturale impadronirsi di ballate che, per la loro natura tra folk, blues e country, sembrano fatte apposta per lui.
Poi,“(Do you wanna) Come walk with me”, dolcissima ballata folk-blues, e, a chiudere lo show, il ritmo languido e viziato di “Wedding dress”, uno dei classici dell’ultimo disco solista di Lanegan, Bubblegum, del 2004.

a cura di Giulia Antelli

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