C’è lo zampino di Geoff Barrow (Portishead, Beak) e si vede. Anika è una figura traslata in un limbo sonoro denso e confuso. Dub, cantautorato ’60s (straniante la cover della dylanesca Masters of War), e un’attitudine estetica molto sfumata verso certa new ave, Anika è un ascolto difficile da affrontare. Sottotitolata come “uneasy easy listening” dalla sua stessa etichetta, quest’artista si presenta ironicamente disincantata per poi gelare i nostri neuroni e stranirli, evaporare qualsiasi forma di luce e di interpretazione lineare.
In una via di mezzo tra i primi Pil, Fall , e un gusto vocale melodico (ed un pò stoned) Anika sin dalla prima traccia, Terry, da vita al suo pop melodico e un pò malato, ossessivo e ipnotico. La seguente Yang Yang non sarebbe sfigurata in una versione leggermente più moderna dei Velvet Underground. No One’s There, Sadness Licks The Sun, mostrano tutto l’amore e la sintonia con certa psichedelia; parlare di Jefferson Airplane in versione industrial, e mixati da King Tubby potrebbe essere un trip troppo fantasioso, forse, ma non troppo lontano dalla realtà.
Anika si mostra con una strana arrendevolezza e vaghezza che riesce però a rubare la mente e ad imprigionarla nel suo incedere vocale tranquillamente oscuro (debitore in buona percentuale a Nico).
Un’opera veramente attraente.