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Cake – Showroom Of Compassion

2011 - Upbeat Records
rock/pop/indie

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Tracklist

1.Federal funding
2.Long time
3.Got to move
4.What's now is now
5.Mustache man (Wasted)
6.Teenage pregnancy
7.Sick of you
8.Easy to crash
9.Bound away
10.The winter
11.Italian Guy

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Quasi vent’anni di carriera, sette album alle spalle, colonne sonore e collaborazioni varie. Questa, in estrema sintesi, la storia dei Cake, band californiana da Sacramento.

Sono una creatura anomala, questi Cake: sospesi in uno strano limbo, il loro destino musicale non ha ancora trovato (o forse, non ha voluto farlo) una precisa collocazione, compreso com’è in quella zona grigia che li mette tra alternative e hit da primo posto in classifica, .
Nel corso degli anni, la band è riuscita a farsi conoscere a livello internazionale con un paio di successi, nella specie, “The Distance” e “Never There” (rispettivamente, da Fashion Nugget del 1996 e Prolonging The Magic del 1998); poi, il contratto con una major, la Columbia, che tuttavia non riesce a dare i risultati sperati e, infine, il ritorno all’indie, con la creazione di una propria etichetta, la Upbeat Records.
Non è facile definire la musica dei Cake: la loro discografia rappresenta un percorso che ha portato la band a creare uno stile assolutamente originale, strana fusione tra indie, rock e country, elementi, questi, che ritornano senza eccezione anche nell’ultimo Showroom Of Compassion.
Sette anni dopo il precedente Pressure Chief, Showroom Of Compassion sostanzialmente ripete la formula classica che caratterizza il sound della band: la voce di John McCrea, sempre in bilico tra cantato e parlato, il basso pulsante di Gabe Nelson e l’immancabile tromba di Vince DiFiore sono ormai il marchio di fabbrica dei Cake, uniti a pezzi semplici, ironici, venati da echi vagamente surrealisti, spesso costruiti su giochi di parole e taglienti polemiche politiche.
Dunque, niente sorprese né grandiose evoluzioni di stile: forti del loro status di cult band, i Cake affidano alla prima traccia, “Federal Funding”, l’intro di un disco che suona esattamente come ci si aspetta, in cui il rock spoglio e ruvido del pezzo si prende gioco dell’America delle sovvenzioni statali, mentre la tromba di DiFiore entra prepotentemente in scena con la successiva “Long Time”, ammiccando ironicamente alla lunga assenza della band dalle scene.
Altra peculiarità sono le cover: come non ricordare i Cake di  “I Will Survive” e “Perhaps, Perhaps, Perhaps”? Stavolta tocca a “What’s Now Is Now” di Frank Sinatra, da sempre uno dei punti di riferimento dichiarati della band, anche se adesso l’effetto non è così ben riuscito come in passato. Tuttavia, la seguente “Mustache Man (Wasted)” dimostra quale sia la priorità dei Cake, ossia, la qualità delle canzoni, libere da ogni artificiosa costrizione/costruzione intellettuale : con il suo funk diretto e incalzante, “Mustache Man” riporta il disco sui binari delle glorie passate, probabilmente uno dei migliori brani dell’album.  “Teenage Pregnancy” è un’escursione instrumental guidata da un pianoforte malinconico immerso in paesaggi west coast, che richiamano alla mente i Calexico di Feast Of Fire, mentre “Sick Of You”, singolo di lancio balzato nella Top 5 alternative rock di Billboard, propone il tipico cantato/parlato di McCrea, insieme agli intrecci di basso e chitarra seventies, che si uniscono alla tromba tex-mex di DiFiore. Il valore aggiunto di “Sick Of You” risiede nel testo, altra marca della band: con McCrea che recita “every camera, every phone, all the music that you own, won’t change the fact that you’re all alone”, non si può non riconoscere che i Cake, nonostante la lunga assenza, abbiano comunque conservato il loro sguardo critico e disincantato sulla realtà, in questa canzone “sull’odio verso le cose che ci circondano”.
“Easy To Crash” propone suoni synth e chitarre distorte in chiave moderatamente acida, mentre “Bound Away” riporta, con il suo valzer squisitamente country, direttamente alle origini di Motorcade Of Generosity, esordio datato 1994. “The Winter” è l’unico episodio pop, e cerca di variare il registro rispetto a quanto fin qui offerto dall’album; la conclusiva “Italian Guy” è invece un’ironica parodia degli stereotipi sugli italiani.

In definitiva, quello che resta alla fine di Showroom Of Compassion, è la sensazione di aver di fronte una band che, al di là del suo effettivo valore artistico, senza giocare sporco, senza voler stupire a tutti i costi, senza preoccuparsi di piacere per forza a tutti, ha il pregio di voler essere soprattutto fedele a se stessa.
Ok, niente di nuovo sotto il sole della California, ma i Cake continuano comunque ad avere un certo stile.

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