Impatto Sonoro
Menu

Recensioni

Bright Eyes – The People’s Key

2011 - Saddle Creek
folk/rock/indie

Ascolta

Acquista

Tracklist

1. Firewall
2. Shell Games
3. Jejune Stars
4. Approximate Sunlight
5. Haile Selassie
6. A Machine Spiritual (In The People’s Key)
7. Triple Spiral
8. Beginner’s Mind
9. Ladder Song
10. One For You, One For Me

Web

Sito Ufficiale
Facebook

Quattro anni dopo il più che apprezzabile Cassadaga, ecco il ritorno degli statunitensi Bright Eyes, i quali danno alla luce The People’s Key, settimo studio-album della band. Iniziamo subito dicendo che il disco in questione risulta fin dai primi ascolti quantomeno gradevole, alternando momenti abbastanza rarefatti ad altri che non possiamo che definire piacevoli, pur senza mai impressionare veramente.

Ma facciamo un passo indietro. I Bright Eyes sono, più che un gruppo vero e proprio, una personificazione del loro leader, il cantautore Connor Oberst. Oberst nasce nel Nebraska poco più di trent’anni fa crescendo nel mito di Neil Young e Leonard Cohen nel periodo d’oro di Smiths e Cure. E proprio queste influenze risultano evidenti nella proposta musicale dei Bright Eyes, i quali iniziano a fare musica una decina d’anni fa pubblicando dischi in principio molto istintivi e scarni per poi evolversi in una ben più definita e raffinata identità artistica.
The People’s Key
risulta evidentemente diverso dal suo predecessore, tanto che le composizioni palesemente di stampo cantautorale lasciano spazio ad atmosfere più rock, talvolta tendenti al power pop, che rendono questo nuovo disco il più intrinsecamente indie della band. In Cassadaga si respirava una deliziosamente opprimente atmosfera folk, tanto che lo spirito di Dylan pareva aleggiare ed incidere neanche troppo velatamente sulla vena compositiva di Oberst. People’s Key appare molto più diretto ma forse, per questo, anche meno interessante.

Ma veniamo al disco nel dettaglio. Dopo una delirante intro narrata, le “danze” si aprono con Shell Games, canzoncina allegrotta dal ritornello insistente e dal ritmo veloce a tratti quasi coinvolgente. Sulla stessa falsa riga si susseguono in ordine sparso il singolo apripista Haile Selassie, Beginner’s Mind e la conclusiva One for you one for me. Le canzoni citate si caratterizzano per ritmo sufficientemente veloce, ritornelli di facile memorizzazione, arrangiamenti scarni e talvolta un po’ banali e la solita cantilenante verve vocale di Oberst. Ma veniamo alle segnalazioni positive. Apprezzabilissima Jejune Stars, nella quale si sentono gli echi degli Smiths che furono e degli Strokes degli esordi. Ancora meglio Triple Spiral, traccia che evidenzia come unendo una gradevole composizione power pop ad arrangiamenti sofisticati ed raziocinanti si possa ottenere qualcosa di davvero valido . Il pensiero va lontanamente ai primi Kaiserchief ma il risultato si fa davvero apprezzare.  Arriviamo infine alle canzoni più stilisticamente affini al repertorio della band. Approximate Sunlight scivola lenta senza incidere ne emozionare e l’elemento più caratteristico risulta la tremolante voce di Oberst. A Machine Spiritual è forse la seconda migliore traccia dell’album, e qui tornano pesantemente a farsi sentire le atmosfere folk dei dischi precedenti e il clima di malinconica tristezza è talmente ben costruito da farci pensare che sia davvero questo l’habitat naturale dei nostri. Molto stile Mumford & Sun, ma davvero bella. Infine arriviamo alla tristissima Ladder Song, traccia che sarebbe stata perfetta colonna sonora di Donnie Darko, ballata malinconica tutta pianoforte e voce ove la vocalità di Oberst si fa finalmente efficace e coinvolgente.

In definitiva questo The People’s Key, annunciato testamento del gruppo di Omaha (Connor continuerà come solista), risulta un piacevole ascolto, nulla di più e nulla di meno. Oberst, da sempre politicamente impegnato, gode di ottima stampa oltreoceano (tanto da essere eletto cantautore del 2008 niente meno che da Rolling Stones) e sono innegabili le sue qualità artistiche, ciò nonostante sembra che non abbia ancora trovato la propria strada e non abbia ancora inciso qualcosa di davvero memorabile. Pur senza la genialità compositiva di Badly Drawn Boy e privo della delicata raffinatezza del fu Damien Rice, Connor Oberst ci regala un album onesto, di tutto rispetto, difficile da giudicare ma gradevole da ascoltare e, in fondo, questo è quello che conta, e People’s Key è, e resta, sicuramente un buon disco.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=yLAMg6o5w2s[/youtube]

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Altre Recensioni