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Il Venerdì

Il Venerdì Di ImpattoSonoro #24: Buon Record Store Day!

Si veste a festa, e continuerà a vestirsi a festa questa festosa rubrica dedicata fondamentalmente al nulla. Perchè dopo una settimana e più di fatica, abbiamo bisogno di oziare, parlare di cose di cui parleremmo in un qualsiasi bar sport globale, o seduti su una panchina tra una trentina d’anni, ma più probabilmente anche prima. Oggi si parla di Record Store Day e ricordi.

Domani è il Record Store Day. Per farla breve è un’iniziativa nata nel 2007 negli Stati Uniti, una campagna di sensibilizzazione in favore di tutti quei negozi di musica indipendente che prima dell’Adsl, iTunes e Mediafire vari, erano gli unici negozi di dischi degni del nome. Occasione rinnovata di anno in anno, ha finito per diventare una vera e propria celebrazione e una sorta di movimento culturale che cerca di coinvolgere negozi, artisti, testate giornalistiche, blog, etichette indipendenti e, per quanto sia complicato e anacronistico, anche e soprattutto le persone che comprano dischi, che li hanno comprati o che vorrebbero ancora comprarli.
Il Record Store Day è un po’ come la festa degli innamorati, un San Valentino degli appassionati di musica, un raduno di nostalgici e romantici che credevano, e credono ancora, che dischi e strumenti musicali fossero l’unica strada percorribile per avere quel rapporto carnale con la musica, reso così vano e insensibile dalle vere rock star degli anni zero, le nuove tecnologie che, in nome della circolazione globale ed esasperata, della fruizione immediata e senza freni, ci hanno riempito l’hard disk di musica, tanta, buona, gratuita ma senza più emozione.
Questo è il nostro modo di festeggiare, di riassaporare l’odore del disco, di scoprire se il negozio di dischi della nostra città sopravvive, ha definitivamente chiuso o è sepolto sotto un mucchio di macerie.

 

L’altro giorno mi è preso questo schizzo, un po’ irrazionale, di mettere ordine nella libreria musicale del mio Pc. Mi serviva spazio, o forse era la mia coscienza che, in un impeto di nostalgia, premeva per costringermi a liberarmi di un bel po’ di dischi di merda, scaricati giusto giusto per dare un senso all’abbonamento Megaupload, per il gusto di rubare qualcosa, o per l’esigenza di avere sempre qualcosa di nuovo, qualcosa che i blog dicono che è figo eccetera eccetera. Sfogliando le cartelle, raggruppate diligentemente per lettera iniziale, mi sono stupito, mi sono sentito rabbrividire, a tratti perfino inorridire.
La discografia dei Julie’s Haircut? Ok, lo spirito indipendente va sostenuto sempre e comunque. L’infausto disco solista di Scarlett Johansson? Ok, è la figa. “Like A Virgin” di Madonna e “The Fame” di Lady Gaga? Ok, un po’ di imbarazzo, ma i capisaldi del pop di ieri, oggi e domani vanno comunque rispettati. “Have On Me” di Joanna Newsom e la discografia COMPLETA dei Tiromancino? Ok…è che…no, no, no, questi non hanno evidentemente una spiegazione, ve lo concedo. Preso dallo sconforto ho buttato l’occhio e la memoria al porta cd e ai tempi in cui la musica la sceglievo nel negozio di fiducia, nel centro di Padova, preso da un’amore magnifico e incontaminato per la scena punk e/o rock italiana. “Codice A Sbarre” delle Pornoriviste, “Paranoia e Potere” dei Punkreas, perfino un incomprensibile, orrendo, ma consumatissimo split tra Peter Punk e Moravagine, ma anche la discografia completa dei veri Afterhours, fino a “Quello Che Non C’è”, giusto per capirsi, o dei Marlene Kuntz e CCCP. Alla fine ho attaccato la spina dello stereo, impolverato come la racchetta da tennis che non prendo in mano dal lontano 2001, e ho messo su “Senza Via Di Scampo” delle Gambe Di Burro. Ci ha messo un po’ a partire, evidentemente rattrapito dallo scarso, quasi nullo, utilizzo. Poi però la mezz’ora di musica abbozzata, talmente anacronistica da suonare quasi ridicola, ma che so ancora irreprensibilmente a memoria, mi ha fatto divertire, commuovere, vergognare ed emozionare.
So che può sembrare un discorso da sociologia spicciola e retorica, tipo fast food e slow food, ma forse dovremmo tornare un po’ indietro ed, ecco, appunto, rallentare. Smetterla di fare gli indie-nevrotici e scaricare questo e quello, questo e quello, questo e quello, questo e quello giusto perchè ce l’ha detto ImpattoSonoro (so che non succede) o il nostro blogger preferito, rivendicare il nostro diritto di scelta e tornare a farci l’amore per davvero con la musica. Che a continuare a masturbarsi da soli, con i nostri infiniti gigabyte di dischini senza cuore e senza storia, si diventa sordi.
(Fabio Gallato)

“Arriviamo a tirarti fuori di lì!”. Avevano detto circa un’ora fa i vigili del fuoco al cellulare. Sono sotto le macerie di questo negozio di dischi da circa un paio d’ore, dopo la scossa, ma ancora niente. È la quarta volta che nello stereo gira Mother dei Danzig, non che non mi piaccia…vorrei solo cambiare disco, almeno fin quando sono qui. Scommetto che il proprietario del negozio la tiene lì da quando ha aperto, sentirà il disco in loop tutti i santissimi giorni…o perlomeno lo faceva. Non gli riuscirà facile, ora, con la testa fracassata sotto il peso di uno scaffale, con una copia della colonna sonora di Funny lady di Barbra Streisand sul petto. Nel frattempo Mother è passata…ora tocca a Possession. Passa un po’ di luce solare tra le macerie, si infrange contro un pianale a specchio, sembra agosto, con una lama di luce riflessa che mi ustiona il braccio destro, innaturalmente piegato tra una parete e il bancone sprofondato. Violaceo e piuttosto gonfio lo sento bruciare quasi fino a scoppiare. Sembra passata un’altra ora…dove diavolo sono i pompieri? Quando ricomincia Mother?
(
Lorenzo Tagliaferri)

Tempo fa fui affetto da download compulsivo: grazie a Torrent e ad una connessione veloce, in breve tempo il mio hard disk fu riempito di discografie in mp3 di tutto, dai Voivod a Burt Bacharach. La musica l’ascolto spesso in macchina, spostandomi da una parte all’altra della mia città per lavoro, quindi mi masterizzai una gran quantità di cd. Inutile dire che ben presto la cosa si fece frustrante: più scaricavo, meno ascoltavo con piacere. Sempre a causa del lavoro, avevo abbandonato la sana abitudine di frequentare i negozi di dischi: ordinavo online.
Mi mancava qualcosa: avevo pile e pile di cd masterizzati ascoltati 2-3 volte, e mi sentivo solo. Guardavo i miei vecchi vinili con aria sconsolata, affranta. Finché un giorno la mia compagna (santa donna) mi prende da parte e mi fa: “domani hai mezza giornata libera, no? Perché non vai a fare un salto a quel negozietto di cui mi parlavi tempo fa?”
Detto, fatto: sì, perché a volte abbiamo bisogno di una semplice spintarella. Ci andai, e d’un tratto riassaporai tutte le vecchie e buone sensazioni: scartabellare famelico i vinili, rigirarmeli in mano, darmi occhiate complici con gli altri avventori, fare domande al titolare solo per il gusto di (“questo 7” dei Morlocks è interamente dal vivo?”). Ricordo perfettamente cosa comprai: un vinile degli Oblivians, il primo degli Adolescents e una raccolta in cd a 5 euri dei Buzzcoks. Ero rinato.
Da quel giorno non scarico più: ho bandito gli mp3, compro ancora online (il tempo è tiranno) ed una tantum mi concedo una capatina al negozio.
E che cazzo.
(Denis Prinzio)

Anni ’90, adolescenza, motorini e negozi di musica formano, per chi scrive, un ricordo complessivo e inestricabile, fatto di pomeriggi alla ricerca febbrile del nuovo album della band di turno, girando per negozi (nel corso degli anni sempre meno numerosi, ma forse per questo sempre più fieramente indie e underground); di interminabili ricerche fra le bancarelle dell’usato, nonché spulciando le liste dei negozi più lontani, entità quasi mitologiche, casseforti di tesori sonori, e fuggendo come la peste la possibilità di farsi duplicare su cassetta (oggi diremmo scaricare su USB device) l’agognato dischetto in questione, da qualche più munifico amico.
Questo, fra l’altro, significava la passione e la ricerca musicale di una volta, dopo l’epica epoca del vinile, oggetto mistico e quasi druidico, venerato come una reliquia, ma purtroppo per il sottoscritto fuori tempo massimo e fuori portata tecnologica; dopo l’avvincente scommessa del tape-trading, e ben prima dell’avvento della digitalizzazione e smaterializzazione della musica, divenuta di sicuro più accessibile, ma certamente meno densa di fascino, meno carica di aspettative e venerazione collezionistica.
Long live the CD, e qualsiasi altro supporto fisico alla musica, DVD live inclusi, oggetti materici in cui addensare la propria passione e la propria voglia di musica, il proprio sano desiderio di possesso/conoscenza/esperienza, avendo l’opportunità di toccare con mano un prodotto che è ben più di una mera produzione seriale di una medesima registrazione, ma un vero e proprio strumento di comunicazione, interfaccia unidirezionale ma tangibile con il favoloso mondo della musica.
(Alekos Capelli)

Siamo nel 2011 e gli artisti iniziano a suonare i dischi con l’I-pad e i cellulari Android, a pubblicare stranezze online e a snobbare la musica su supporto fisico. A poco serve il ritorno al vinile per i finti aficionados del vintage e della musica classica: i negozi di dischi devono sopravvivere, sbandierare passione per la musica scaricando un inutile e volatile mp3 su iTunes crea una catena di ossimori che annullano la musica come senso d’arte, mercificandola. Nel paese dove tutto è merce, la musica, per favore, salviamola. Supportate i negozi di dischi indipendenti, almeno oggi.
(Emanuele Brizzante)

Il Record Store Day. Una festa triste purtroppo, nata dal fatto che tanti, diciamo pure quasi tutti, i negozi di dischi stanno chiudendo. E quando parlo di negozi di dischi non parlo di quelle sottospecie di elettromercati con un pò di tutto, cd, dvd, frullatori etc, alla fine lì ci lavorano persone con lo stesso gusto musicale di un pezzo di tufo (senza offesa per il tufo). Parlo di luoghi nati con un obiettivo. Soddisfare, e far incontrare persone appassionate di quella non-materia chiamata Musica. Non voglio fare retoriche su quando ero imberbe e compravo i miei primi cd. E’ una festa malinconica e già basta. Poi se parlate di Grosseto, loculo dove risiedo, e DOVE ormai i negozi di musica si contano su un dito (per giunta quasi in chisura), la malinconia diventa fame depressa. Un negozio dedito a quella povera razza di idee chiamate punk, hardcore, reggae, tra hardcore, rasta, mod, e strani inserimenti wave, che ha dato i natali (per un paio di anni fulminei) ad un fiorire di musica. Concerti, serata dj a tema, arrivo di gruppi in scambio. Tanti ragazzi che imbracciavano strumenti non per coverizzare i Led Zeppelin ma i Minor Threat o i Jesus Lizard!!
Io lì comprai il mio primo vinile (sono un feticista nascosto): Jello Biafra & The Melvins,Sieg Howdy! del 2005 . Amore e noise. Pesante ormone durissimo.
Poi ho scoperto tanti altri posti come quello e ci sono parecchio affezionato. Li elenco, così magari ci fate un salto. Sono persone a cui chiedere un consiglio od un suggerimento vuol dire farsi una sana chiacchierata di musica, una cosa che la rete purtroppo ci ha tolto in parte (dandoci tante altre cose lo so):

RUDENESS Streetwear & Music Shop (Grosseto)

Marquee Moon (Firenze)

Soul Food (Roma)

Hellnation (Roma)

Comprare Musica vuol dire credere nel musicista come figura d’artista indipendente, non come hobby. Comprare Musica in un negozio di appassionati vuol dire, credere nella comunità della musica e nella creatività come scambio di idee! Ricordatevelo!
(Michele Guerrini)

“Il feticista musicale non è diverso da quello porno.”
Dice così Rob Fleming in Alta Fedeltà, e io in fondo mi ci ritrovo appieno. C’è qualcosa di impagabile nel possesso di un disco, una soddisfazione intima al limite dell’ottuso.
Ho conosciuto tanti gruppi solo sbirciando di nascosto cosa stessero guardando i tizi di fronte a me, parlando al negoziante o semplicemente affusolandomi le dita tra le copertine. Ho scoperto cosa fosse un vinile da bambina, aprendo scatole senza nome ammucchiate in un qualche solaio e trovandomi tra le mani Atom Heart Mother dei Pink Floyd. Da allora i solai si sono trasformate in stanzette buie e seminascoste. E quando le spossanti ricerche finiscono, me ne esco da quelle porticine convinta che in fondo quello che ho sotto il braccio non è un banale e codificato pezzo in serie. Si tratta d’altro: musica tangibile.
È un peccato pensare che tanta bellezza e passione possa trasformarsi e scomparire del tutto in un algoritmo.
(Giulia Bertuzzi)

Visto che il mio ruolo di leader invisibile e indiscusso di ImpattoSonoro (? n.d.r.) mi impedisce di acquistare nuovi album (in genere Bono Vox me li regala) le rare volte che mi addentro in un negozio di musica, lo faccio per cercare quegli album che non riesco ad ottenere gratuitamente – non essendo io una bella minorenne. In una delle mie ultime gite nel magico mondo della musica a pagamento, è capitato tra le mie mani un album di Apicella. Non vi dico la mia sorpresa e infinita gioia, quando nell’aprirlo ho trovato al suo interno un altro album di Apicella e all’interno di quest’ultimo un terzo album di Apicella e così via, in un gioco di matrioske del valore di 2000 euro. E poi dicono che la musica napoletana non è originale. Morale dell’inutile favoletta: comprare cd può riservare belle sorprese, acquistate con gaudio.
(
Vincenzo Lombino)

Mi piacerebbe esordire con un: “era il 1972 quando …” ma il destino ha voluto che nascessi qualche anno più tardi e il racconto sarà inevitabilmente diverso. Arriva un momento nel quale un bambino si stufa di sentire e risentire la solita audiocassetta dei Nomadi che il proprio padre non toglie mai dalla radio, nonostante nel cassetto ci siano capolavori delle Orme, dei Genesis o dei Deep Purple. Allora decidi che devi sviluppare dei gusti tuoi, e inizi ad accorgerti della vastità della proposta musicale che ti circonda. Tra i tanti elementi che hanno accompagnano la mia vita, il negozio di dischi è uno fra i più indelebili. Da quando gli amici più grandi mi portavano in un polveroso negozio di Brescia per acquistare l’ultima uscita metal del mese, a quando in un altrettanto angusto negozio di provincia acquistai a scatola chiusa il primo cd di un eccentrico duo di Detroit fissato con il bianco, il rosso e il nero, a quando fui attirato da una manciata di gruppi di capelloni in camicie di flanella. Ricordi che non passano. E poi ti capita di essere folgorato da una luce più forte di te, e il tuo sguardo si posa su Harvest di Neil Young. Lo compri, senza pensarci. Sei felice, eccitato,  e quando noti lo sguardo complice e compiaciuto del proprietario sei ancora più gratificato. E poi ascolti e riascolti il disco appena acquistato e ti perdi un mondo di sogni e allora chiudi gli occhi e ti immagini a pizzicare le corde di una Martin o a maltrattare una Gibson Les Paul a fianco di Mr. Young in persona, e adesso si ti senti davvero nel 1972 a scrivere un pezzo di storia della musica rock.
(Federico Colocresi)

Venditore:” Buongiorno”
Avventore:”Buongiorno”
Venditore:”Posso aiutarla?”
Avventore:”Sì, grazie, sto cercando il disco di un cantante che sento sempre in radio”
Venditore:”Sa il nome del cantante?”
Avventore:”No”
Venditore:”Il titolo della canzone?”
Avventore:”No…però fa così:”La la la…lalala..la la…”
Venditore:”??????”
Anche a questo ho assistito…fortunatamente quando ho comprato uno dei miei primi vinili , avevo le idee un pò più chiare:
“Vorrei il primo di CROSBY, STILLS & NASH, quello con il divano in copertina”
(Enzo Curelli)

“Prezzo consigliato al pubblico L. 28.900”. Così dice il piccolo adesivo circolare, appiccicato sulla copertina dell’album, che ha cambiato la vita del sottoscritto. La mente torna indietro alla Firenze del ‘99: tredici anni suonati, terza media, pantaloni a cavallo basso della Billabong, catena legata al portafoglio, felpa taglia L  e capelli ingellati fino alla radice. Internet ancora non lo cagavo di striscio e i ragazzini invece di scaricare (tranne quei pochi eletti che avevano Napster), compravano i cd al Music Center, negozio che aveva sempre le uscite discografiche più toste in circolazione. Mi ricordo ancora che era un lunedì, il giorno prima, al parchetto, vidi un mio amico indossare una t-shirt, con una scritta stampata a caratteri cubitali: Nofx. Non sapevo neanche che cazzo volesse dire. Mi disse che era un gruppo californiano. La curiosità fu tale, che a fine scuola, alle due del pomeriggio, arrivai davanti al Music Center e mi fiondai alla lettera “N”. Avevano pressochè tutti i loro lavori (che grande che eri Music Center!). L’occhio cadde sulla copertina più bella e semplice che avessi mai visto: So Long And Thanks For All The Shoes. Presi e portai a casa. Batteria tututà tututà tututà tututà tutututu, le chitarre che grattavano piripiri piripiri piripiri piripiripiripiripà, il basso che finalmente si sentiva ed occasionalmente la tromba. Da quel giorno niente fu come prima. Un’altra giovane vita dell’Occidente civilizzato si convertiva all’hardcore melodico di scuola Epitaph.
Oggi il Music Center non esiste più. Al suo posto, l’ennesimo negozio di telefonia. A pensarci bene 28.900 lire non erano neanche poco. Ma vuoi mettere con un merdoso iPhone?
Grazie Music Center.
(Francesco Ceni)

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=Z9tANaiMTKA[/youtube]

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