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Elbow – Build A Rocket Boy

2011 - Friction
rock/pop/alternative

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Tracklist

1.The Birds
2.Lippy Kids
3.With Love
4.Neat Little Rows
5.Jesus Is A Rochdale Girl
6.The Night Will Always Win
7.High Ideals
8.The River
9.Open Arms
10.The Birds (Reprise)
11.Dear Friends

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Ammettiamolo, gestire l’eredità di The Seldom Seen Kid non è cosa facile.
Nell’ultima puntata avevamo lasciato gli Elbow vincitori del prestigioso Mercury Prize, riconosciuto loro nel 2008, premio che ha indubbiamente accelerato quel processo di riconoscimento da parte del pubblico e che ha fatto passare la band dell’essere gli “El boh?” agli “Elbow!”.

Il quintetto di Manchester si ripresenta ora con un nuovo lavoro, il quinto, uscito con l’etichetta Friction. Con Build a Rocket Boys, lo spleen di Guy Garvey ha attinto ai temi dell’infanzia, dell’amicizia e della città. Per scriverlo il frontman e la band si sono ritirati nella cittadina natale in provincia di Manchester, Bury, e lì hanno steso undici tracce che ascoltate una in fila all’altra paiano debbano far parte di un qualche inno religioso. Non solo i cori che ornano la maggior parte delle tracce, ma anche le melodie, l’uso del pianoforte e le atmosfere ricreate, fanno immaginare di essere in una chiesa pietrosa della vecchia Inghilterra. I temi presenti, come l’amore o il senso civico, sono letti in chiave metafisicamente spirituale e per certi versi parrocchiale. Arrivati al cinquantunesimo minuto dell’album è strano pensare che la stessa Manchester “monacale” descritta dagli Elbow sia stata di ispirazione per i testi dei Joy Division.
Ad aprire le danze è The Bird, otto minuti di composizione strumentale che integra influenze progressive rock agli assoli di tastiera, seguito da Lippy Kids un flash back sull’infanzia in Manchester nonché uno dei pezzi più gradevoli dell’album. La canzone si apre con la ripetizione costante di una sola nota che va via via crescendo trasformandosi nella melodia di fondo. Una ballata sulle età umane in cui si può cogliere anche uno scanzonato accenno fischiettato preludio alla saggia, quanto disincantata, costatazione di Guy Garvey : “Do they know that these days are golden?”. Ad invertire per poco il mood dell’album ci pensa White Love brano dall’efficace impasto sonoro; un saltellio sui tasti del pianoforte cede il testimone al battimani e al coro molto ben sfruttato, a differenze degli altri pezzi. Si prosegue con Neat Little Rows, quarta traccia del disco, pezzo interessante quanto semplice; da un lato la batteria costante che funge da metronomo e dall’altra l’arpeggio del pianoforte. Il canto continuo con poche pause che si apre sul ritornello dall’intensità giovanile e familiare. Verso la fine si incontra Open Arms territorio ideale per la voce imperiosa di Garvey che sfida, si alterna e si fonde col coro del ritornello.
Ascoltando l’album è difficile non vedere in controluce l’impostazione canora tipica di Peter Gabriel così come le sonorità dei Radiohead di Ok computer, in particolare per quanto riguarda l’orchestrazione tendente all’elettronica. Ciò che risulta spiacevole, specialmente per chi si è invaghito degli Elbow di The Seldom Seen Kid, è constatare nell’album una freddezza diffusa. Lungi dall’essere un lavoro mediocre, Build a Rocket Boys è un album progettato, calibrato nei dettagli, al limite del chirurgico per quanto è pulito preciso e distaccato.

Gli Elbow hanno realizzato un’operazione di gran classe, si sono scrollati di dosso il canonico accostamento con la lezione dei Coldplay, ma non sono riusciti a creare un alto coinvolgimento sonoro all’altezza dei precedenti lavori.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=VRFqUlRelN0[/youtube]

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