Due chitarre, un basso e una batteria, supportati in brevi frangenti da tastierine 8-bit e Nintendo Ds, giusto per discostarsi ancor di più dai noiosi canoni della banalità. Tanto basta ai Diane and the Shell per soffiare con veemenza la loro ventata di originalità all’interno dei geometrici dettami math rock.
I quattro musicisti originari di Catania non si prendono troppo sul serio (lo si intuisce subito dalla stilizzata immagine di copertina) ed è un bene, perché la componente ironica arricchisce ancor di più la loro personalissima visione strumentale del rock, filtrata attraverso le fonti più disparate, che mescola registri gravi e solenni ad intermezzi spiazzanti e talvolta caricaturali.
Dieci tracce interamente strumentali, melodie che rimandano alla musica popolare balcanica e d’istinto ci fanno volare col pensiero su fiabesche sponde arabe, salvo poi correggere il tiro e riportarci mestamente alla casa madre, tra cavalcate folli ed intricate trame in salsa sicula.
Ne viene fuori un album completamente fuori dagli schemi, difficile da catalogare e proprio per questo in grado di suscitare sentimenti forti, sia di stima che di irritazione.