Sottotitolato “A King Crimson ProjeKct”, l’ultima impresa di Fripp e dei suoi compari vede protagonisti oltre allo storico chitarrista-fondatore della band, il chitarrista Jakko Jakszyk (Level 42, 21st Century Schizoid Band), il sassofonista Mel Collins (con Fripp per tre album in studio nel periodo 1970-72), con alla sezione ritmica basso e batteria degli attuali King Crimson, ovvero Tony Levin e Gavin Harrison (anche coi Porcupine Tree). Perché non potevano accreditare il disco ai King Crimson?, sarebbe da chiedere a Fripp, ma tanto una sua risposta non varrebbe niente. Fripp non è uno che di solito dice le cose come stanno.
Chi si aspetta il rock rumoristico, frammentato e distorto degli ultimi King Crimson, oppure un ritorno alle atmosfere prog-sinfoniche di Lizard o Islands si metta il cuore in pace: questo disco ha abbastanza poco a vedere con entrambe le tipologie; l’unica cosa che può un po’ accostarli ai secondi sono appunto il sax e le atmosfere vagamente jazzistiche – ma anche queste sembrano più provenire da un disco di Sting che da un disco di prog. Ecco, a volte, come nella traccia di apertura, sembra di sentire un cazzo di disco di Sting. Ora, la traccia di apertura è probabilmente la cosa migliore del disco, ma Fripp e soci che suonano come Sting sicuramente non danno l’idea di aver compiuto un grande balzo in avanti nella loro esperienza musicale, e tantomeno di aver fatto un grande beneficio all’umanità.
Il disco è nel complesso gradevole, e sicuramente uno dei progetti crimsoniani più melodici degli ultimi trent’anni. Mel Collins dà un contributo di colore eccezionale coi suoi fiati, e tutta la band nel complesso è precisa, perfetta, funzionale. Non si può neanche accusare il gruppo di eccessiva freddezza: si tratta indubbiamente di un album a colori caldi, dai toni morbidi; eppure il senso di deja-vu che emerge dalle sonorità è innegabile. Sembra di ascoltare un disco di buoni artigiani di vintage prog come i Wobbler o i Big Big Train… Coi quali in effetti il disco condivide pregi e difetti concettuali, quand’anche non compositivi.
Tutto appare bello nel senso estetico del termine. Bello, ben realizzato, persino composito, intarsiato dal sax di Collins prima di tutto; e appare anche vivo, vibrante, qualcosa che non potrà non fare piacere ai fan di Fripp e della sua opera, e che soffia un respiro vitale in tutta l’opera, un respiro che si avverte per esempio nella struttura a onde di “Secrets” (in particolare nella lunga sezione iniziale). Si tratta di un disco fatto per essere ascoltato, un disco basato su melodie. Però arrangiamenti, produzione e composizione, per quanto indubbiamente peculiari nel catalogo del Re Cremisi, sanno di già sentito, anche se il disco è sincero a sufficienza da non risultare formulaico.
Ciò detto, si tratta di un disco per ascoltatori di prog classico, che potrebbe spiacere agli estremisti fanatici della band, ma che potrebbe piacere almeno a tratti agli appassionati di certo rock melodico jazzato. Per chi è addentro a tutte le cose progressive, è un altro buon disco nel mucchio, ma non c’è un motivo particolare per privilegiare questo a tante altre uscite del genere, se non il fatto che sia firmato, anche se in piccolo, King Crimson.
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