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Interviste

Intervista agli ESBEN AND THE WITCH

Abbiamo avuto l’occasione di intervistare gli Esben and the Witch (Rachel Davies, Thomas Fisher and Daniel Copeman – tutti polistrumentisti, con Rachel come voce solista), nella meravigliosa cornice dell’entroterra palermitano, a Castelbuono, dove sono stati invitati quest’estate a partecipare all’Ypsigrock festival.
La band si è mostrata molto gentile, e i ragazzi rilassati e contenti, hanno distribuito sorrisi e riso un sacco durante l’intevista. Forse sorprendente, considerati i toni cupi della loro musica, l’atmosfera deprimente e le emozioni violente espresse nelle loro canzoni, e il modo in cui i musicisti sembrano viverle quando le mettono in scena sul palco. Ma la performance è una cosa, e immagino che anche i registi di film horror possano essere tra le più squisite e dolci persone del pianeta. Esprimere l’arte è una cosa – fare due chiacchiere con un intervistatore, o rilassarsi nella campagna siciliana, tutta un’altra.
“Siete una band abbastanza nuova, il vostro primo album è uscito solo quest’inverno, come siete stati coinvolti nel festival?”
Daniel: “In effetti siamo stati invitati dagli organizzatori – abbiamo dato un occhio a quali band hanno partecipato negli anni precedenti e, considerato il fatto che Rachel non era mai venuta in Sicilia, abbiamo pensato che fosse un buon appuntamento al quale esibirci.”

Ci spostiamo subito sul tema del loro sound: la band presta molta attenzione ai dettagli sonori; e molti recensori sembrano indicare principalmente le affinità fra gli Esben e Siouxsie and the Banshees, un accostamento che non mi ha mai convinto. Sono quindi contento di sentir loro dire che non solo non sono d’accordo con questa comparazione, ma che nessuno di loro ha nemmeno un disco di Siouxsie…
Thomas: “Troppa gente ci accosta solo perché abbiamo una voce femminile potente, violenta, ma forse non prestano abbastanza attenzione a quello che cerchiamo di fare con i nostri strumenti.”
“E quindi quali sono le vostre influenze?”
Band: “Health, Godspeed you black emperor, Joy Division, Cure, Aphex Twin…”
Daniel aggiunge che in ogni caso cercano di non limitarsi in alcun modo: “Se mi capita di sentire un bel suono di sintetizzatore in un pezzo di Rihanna, per esempio, provo a studiarlo un po’ e magari ne tiro fuori qualcosa di utile, di interessante.”
Rachel interviene, in uno dei rari casi in cui dice qualcosa, dato che perlopiù pare contenta di lasciare che siano i due ragazzi a condurre il discorso: “Le influenze possono venire a vari livelli, in vari modi. Viaggiando, per esempio; o posti che vedi, persone che incontri, un libro che leggi, o anche un articolo su internet.”
E questo, chiedo loro, spiega anche certi riferimenti bizzarri nei titoli delle canzoni e nelle liriche, come “Argyria” e “Chorea”, che sono due malattie rare? O quelle alla mitologia greca (“Eumenides”)? In un certo senso la cosa è un po’ da nerd, un po’ da intellettuali, è vostra intenzione apparire così?
Daniel: “Non cerchiamo di essere deliberatamente intellettuali, e non cerchiamo nemmeno di essere morbosi se è per questo! Non pensiamo di essere una band cupa o triste o pessimista – non intrinsecamente, almeno. Non pensiamo di essere particolarmente morbosi se veniamo colpiti dalla storia delle sacerdotesse di Dioniso che in preda all’ebrezza potevano danzare fino alla morte. Non è incredibile pensare che cose come queste siano successe davvero?”

Così non cercate di essere cupi per forza, dico loro. E allora cosa succederà nel prossimo album? Avete già delle idee? Pensate di lasciarvi dietro le atmosfere scure del primo disco?
I ragazzi sembrano pensarci, ma quasi ridendo: “Be’, prima o poi nel futuro potremmo sicuramente finire per scrivere un disco fatto solo di canzoni allegre, ma non crediamo che sia ancora il momento…”

a cura di Giulio Caroletti

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