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Interviste

Intervista a ECO NUEL

Femminilità algida ma prepotente, una voce che che esce fuori decisa a declamare che i talenti in Italia non escono solo dai reality, ma qualche volta fluttuano nell’aria se solo si ha il coraggio e a volte la fortuna, di tendere loro una mano. ImpattoSonoro incontra Eco Nuel. A cura di Enzo Curelli.

Il disco vive di canzoni che cercano di coprire e raccontare diverse sfumature della complessa figura femminile. Riesci ad identificarti in tutte? Quanto c’è di personale nelle tue canzoni?
Certamente una parte di me si identifica in tutte le canzoni, che poi continuano a vivere di vita propria.

Quale è stato lo spunto che ti ha portato alla realizzazione dell’album?
Probabilmente il desiderio di dare alla luce una creatura che mi assomigliasse.

Hai dei modelli femminili nella musica o nell’arte in generale?
Mi fermo alla musica perchè altrimenti la lista rischia di diventare lunghissima : Beth Gibbons, Bjork, Polly Jane Harvey, Marianne Faithfull, Lhasa De Sela, Alison Goldfrapp, Nico, Siouxie, Lisa Gerrard, Anita Lane, Roisin Murphy.

Credi che un concept come quello che anima “Almost White” si potrebbe fare anche con la “meno complicata” figura maschile?
Io credo di no… In Almost White racconto storie di donne, e il punto di vista del narratore è volutamente un punto di vista femminile. Ma non è detto che non si possa fare un concept sulle sfaccettature dell’animo maschile che, pur essendo forse meno complicato, è altrettanto complesso. Anche in questo caso, solo una ricerca seria che permette di ampliare il banchetto delle possibili scelte, consente di allontanarsi dai cliché.

Quanto tempo hai impiegato alla realizzazione del disco? Erano canzoni che avevi già nel cassetto?
Qualche mese.  Le canzoni (tranne una) sono nate in un arco di tempo limitato.  Almost White è un album molto istintivo, che fotografa un momento ben preciso,  però i brani sono indubbiamente  legati anche ad eventi passati, al mio vissuto conscio o inconscio che sia.

Mi ha colpito la storia dietro a The River Song, come è nata (anche musicalmente)?
The River Song racconta la storia di un tentativo di annegamento. Una donna viene aggredita e buttata nel fiume con le mani legate da un aggressore dal volto coperto. Viene poi salvata all’ultimo momento da un passante, ma la sua mente resta legata al trauma che ha subito e dal quale non riesce a riprendersi.  Nella parte finale della canzone ho scelto di sovra incidere più voci, come un requiem, a enfatizzare l’inevitabilità del dramma.  The River Song è un brano liberatorio, e ogni volta che lo eseguo live, una parte di me sputa fuori il suo trauma. Ti racconto un piccolo aneddoto legato a questo brano. Alla fine di un concerto una ragazza mi si avvicina e mi chiede di questa canzone, mi dice che un suo amico le aveva appena dato una notizia tragica, un amico comune aveva una malattia terminale. Lei si è sentita malissimo, e in quel preciso momento noi stavamo iniziando a suonare The River Song. Mi ha poi detto che pur non capendo una parola di inglese, ha sentito che questo brano parlava anche della sua storia, e lei si è abbandonata alla musica, come se avvertisse che in quel brano io stavo parlando di lei e del suo amico in punto di morte. Quando le ho spiegato di cosa parlava il testo è rimasta impressionata, The River Song  ancora una volta era entrata in contatto con il trauma di qualcuno, e la rabbia con cui l’avevo eseguita prestava voce alla rabbia di quella ragazza.

Nelle tue canzoni ci sono molte contaminazioni musicali che guardano al presente ma anche al passato. Hai voglia di indicare per ogni decennio musicale cosa salveresti e cosa bocceresti (un artista, un disco, una corrente musicale…)?
Degli anni ’60 e anni ’70 salvo:  Doors, Pink Floyd, King Crimson, Rolling Stones, David Bowie, Robert Wyatt con il suo Rock Bottom, The Velvet Underground. Mi piacciono di meno Queen e Ramones.
Degli anni ’80 salvo Cure, Joy Division, Nick Cave, Siouxie and the Banshees,  Echo and the Bunnymen Dead Can Dance,  Einsturzende Neubauten,  David Sylvian. boccio i Guns ‘n roses!
Degli anni ’90 salvo i Morphine, Radiohead, Bjork, Portishead, Nirvana, Jeff Buckley, Massive Attack,Nine Inch Nails, Alice in Chains, PJ Harvey, Noir Désir, Girls against boys, Ulan Bator. Non mi piacciono Offspring, Blink 182, Sebado.
Degli anni 2000 mi piacciono gli Interpol, Sigur Ros, Massive Attack, Portishead, Mogwai, Blonde Redhead, Lhasa De Sela, Soulsavers, Goldfrapp, L’Enfance Rouge, Mum, Anthony and the Johnsons, Moloko, A perfect Circle, Aucan, Prodigy, Amatorski. Non mi piacciono Tokyo Hotel, Foo Fighters.

Le tue canzoni nascono già in inglese? Pensi di lavorare anche con l’italiano in futuro?
Le mie canzoni nascono già in inglese. L’inglese è la lingua che associo da sempre al viaggio. Fin da bambina ho viaggiato moltissimo all’estero e tutti i posti che vedevo stimolavano la mia curiosità. E oggi sono una nomade, con l’idea del viaggio attaccata alle scarpe, e la lingua inglese è diventata la chiave di questo viaggio, anche interiore, come la creazione di un brano.  Ma non escludo l’italiano, come non escludo nessuna nuova soluzione a priori. Scrivo poesie in italiano, ho cantato in italiano in “Solitudine Perfetta” dei Proteus 911 , contenuta in Where Roses Fall,il terzo lavoro discografico della band,  e nella recente collaborazione per il brano “Litorale” contenuto ne “Il 3 nel segno” dei Lo.Mo.

Con questo tuo album solista hai interrotto le collaborazioni con i Proteus 911 e Henry Hugo o rimarrà solo una parentesi? Come sono nate queste collaborazioni e che importanza hanno avuto?
Il progetto solista sarà la mia priorità, ma continuerò a collaborare con altri artisti. Certamente escludo di diventare un  elemento fisso in una band. Penso a singoli brani, a collaborazioni circoscritte. Escludo i Proteus 911 perché già due di loro collaborano con me in questo progetto solista. Ho lavorato ad un brano di Henry Hugo mentre stavo registrando Almost White: credo che con lui continueremo a impegnarci così, sporadicamente, e non come prima. La collaborazione con i Proteus 911 è nata in maniera molto naturale, mi affascinava molto l’idea di creare delle linee vocali sulle loro strutture inusuali, e a loro piaceva il mio timbro vocale e il mio modo di approcciarmi alle composizioni.  La collaborazione con Henry Hugo invece è nata tramite myspace.  Inizialmente ci spedivamo materiale, poi l’incontro a Zurigo, un ep e un tour nel 2009.

Chi  non ti conosce cosà potrà trovare nei tuoi live?
La musica è protagonista assoluta. Porto dal vivo Almost White in trio e parlo poco durante lo spettacolo: non ho particolari doti da intrattenitrice, preferisco comunicare con il pubblico tramite le mie canzoni, interrompere il flusso sonoro il meno possibile.
Il live è sicuramente meno sognante del disco, alcuni brani sono stati riarrangiati in chiave più aggressiva e questo ci porta a vivere il concerto in modo più fisico, più adrenalinico. Sicuramente ogni live prende un piega diversa a seconda del contesto e del pubblico che a volte balla, a volte resta attentissimo in silenzio fino all’ultima nota. Puntualmente è proprio il pubblico a regalarmi emozioni..

a cura di Enzo Curelli

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