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Interviste

Intervista ai BUD SPENCER BLUES EXPLOSION

Abbiamo incontrato i Bud Spencer Blues Explosion, alias Adriano (Viterbini) e Cesare (Petalucchio), nel backstage del Barrio, poco prima dell’inizio del loro incendiario live. Due ragazzi (stra)alla mano, di una gentilezza e d’una umiltà incredibile: davanti a birra e pizza, tra racconti di vita vissuta, scena indiependente italiana e bluesman d’altri tempi abbiamo tracciato una parziale archeologia della blues explosion romanaccia.

A cura di Lorenzo Giannetti

Dopo lo squisito divertissement “Fuoco lento”, ep di sole cover registrato in una storica jam-performance al Circolo degli Artisti, ecco l’album delle conferme. “Do it”, il vostro ultimo lavoro, stupisce per freschezza e maturità. Dovendo tracciare un bilancio rispetto agli esordi, siete soddisfatti del percorso dei Bud? E cosa è cambiato nella fase di concepimento e produzione dell’ultimo album rispetto agli esordi?
Beh, non possiamo che ritenerci estremamente soddisfatti di come stanno andando le cose: stiamo praticamente vivendo un sogno! Il bilancio dunque è sicuramente positivo, anche se chiaramente impegno e dedizione sono totali. La gavetta è qualcosa che ricordiamo sempre con piacere, prima ci spostavamo ovunque con la “Yaris baracca” (!) facendoci anche traversate chilometriche, ora finalmente abbiamo un furgoncino tutto nostro: ci voleva! Riguardo alla realizzazione dell’album il nostro approccio è rimasto fondamentalmente lo stesso: ci piace mantenere un elemento di freschezza, di immediatezza nel nostro operato. Spesso jammiamo e se quello che viene fuori ci garba lo registriamo! E’ tutto molto spontaneo, naturale.

Dalla vostra musica emerge una doppia anima: una americana, legata al blues ed al grunge, l’altra estremamente italica, dovuta alla scelta di mantenere i testi in lingua nostrana. Come fate convivere queste due peculiarità?
Anche in questo caso, questa “fusione” avviene in maniera del tutto naturale, non ci sforziamo di unire due mondi, semplicemente i due mondi fanno parte di noi e si riversano nella nostra produzione.

Chi annoverereste dunque tra le vostre maggiori influenze?
A parte i Jon Spencer che hanno ispirato nome e musica dei Bud, ovviamente non possiamo che citare i White Stripes e l’immortale Jimi Hendrix, un punto di riferimento per chiunque suoni la chitarra. Siamo piacevolmente stupiti dei numerosi paragoni coi Black Keys che riteniamo tra i più innovativi interpreti d’un blues moderno. Un’influenza che emerge più nel nostro ep di debutto (“Happy” ndr) è sicuramente quella di Beck, altro grande innovatore fuori dal coro che abbiamo molto ascoltato nei Novanta.

E della scena italiana?
Sicuramente i Verdena, che dal vivo sono davvero impeccabili. Ma anche gli Zu, gli OneDimensional Man ed il Teatro degli Orrori. Sì il primo lavoro del Teatro ci ha lasciato di stucco: abbiamo piazzato il disco (L’Impero delle Tenebre ndr) per la prima volta durante una lunga traversata in macchina e ci ha letteralmente sconvolto. Cazzo, proporre un sound alla Jesus Lizard in Italia, e poi, con quella voce luciferina di Capovilla!

Parliamo un po’ dei vostri testi: visionari a tratti, sicuramente personali e non legati particolarmente al sociale o alla politica. Anche in questo caso, alla mente balza il surrealismo dei Verdena…
Sì, ci piace l’idea di mantenere separate le idee artistiche, rispetto a quelle prettamente umane e personali. Non ci interessa fare comizi e probabilmente non ne saremmo neanche in grado: abbiamo le nostre idee e se parliamo con la gente è bello confrontarsi, ma sul palco preferiamo essere musicisti. Per i testi abbiamo un approccio molto corale ed evenemenziale: ci lasciamo influenzare davvero da tutto quello che abbiamo intorno, soprattutto dalle persone. Capita infatti che talvolta i testi nascano con l’apporto di amici e conoscenti, un tassello alla volta, in maniera libera e spontanea. Il surrealismo ironico o il non-sense spiazzante di alcuni scritti, può in parte riferirsi al nostro apprezzamento per un altro artista italiano, Bugo!

La prima volta che vi vidi live, era nel tour dell’anno scorso, accompagnati per l’occasione da Saturnino (storico arrangiatore e bassista di Jovanotti) e Bertallot (voce dei Casino Royale): per quanto riguarda la strumentazione, sentite la mancanza di un basso o di qualche altro strumento/componente?
Dobbiamo dire assolutamente no! Siamo molto soddisfatti del sound chitarra e batteria, anche se chissà in futuro magari…

Del basso effettivamente non si sente assolutamente la mancanza a mio parere, nell’economia del disco. Piuttosto pensavo, data la spiccata vena blues, magari ad un’armonica a bocca… Da veri bluesman del Mississipi!
Eheh, sai che non sei il primo a dirci questa cosa dell’armonica?! L’idea non è male, anche se rimane il fatto che per ora, nessuno di noi saprebbe suonarla! L’idea del bluesman sotto il portico con l’armonica non è male effettivamente…

Una curiosità: l’intermezzo di dj Mike nel nuovo disco, non mi convince troppo, ma il tentativo di sperimentazione è comunque più che apprezzabile. Ancor di più se si parla di un disco riuscitissimo quale è “Do it”. Come è nata questa idea dello skratch?
Apprezziamo la sincerità intanto! Innanzitutto la collaborazione con dj Mike è frutto di una lunga amicizia. Lui è un vero maghetto dello skratch ed ha un suo bel seguito. Lo spirito del lavoro insieme era chiaramente sperimentale, abbiamo un po’ giocato. Alla fine si tratta di una intro ma ci piaceva l’idea di spiazzare l’ascoltatore ponendola proprio a metà disco. Volevamo dare un forte senso di eterogeneità e passare dal blues delle origini fatto con la chitarra slide, ai piatti gracchianti del dj.

Ragazzi siete stati gentilissimi e avete talento da vendere, non posso che ringraziarvi e augurarvi buona fortuna per tutto.
Grazie a te, ci vediamo sotto al palco!

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