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Interviste

Intervista ai NOBRAINO

Abbiamo incontrato i Nobraino in occasione della presentazione dell’album “Disco d’Oro” al Circolo degli Artisti di Roma.
La band si propone come una delle più interessanti visioni musicali in circolazione negli ultimi anni.
Sono pungenti i Nobraino, non fanno sconti, sono ironici e critici, dicono quello che pensano ma non sono solo questo: dietro l’asprezza del rock mostrano la loro sensibile profondità unita ad una sorprendente affabilità.
I Nobraino sono anche questo, sono imprevedibili: basta poco ed un’intervista programmata dopo il soundcheck si trasforma in una chiacchierata a cena davanti ad un bicchiere di vino.

Perché avete scelto Roma per lanciare il vostro nuovo lavoro?
Perché con Roma abbiamo rapporti preferenziali, al di là dei furti, per cui aveva senso così.
Un’alternativa era una data in Romagna: abbiamo fatto due tour che partivano dal Vidia di Cesena. Questa volta non l’abbiamo fatto non perché non ci piaccia, anzi ci suoniamo la settimana prossima, ma perché questo disco era diverso rispetto agli altri dischi dei Nobraino: così, anche un po’ per cabala, doveva partire da un posto diverso.
Per cui tra le varie possibilità, Roma ci sembrava la migliore. Effettivamente è un posto in cui ci troviamo bene, come pubblico anche: aveva senso fare una festa qua.

Il vostro disco è stato registrato a fine 2011 da Manuele Fusaroli: come è nato il rapporto con lui? Come vi siete trovati?
Io mi sono trovato molto bene, ci siamo trovati molto bene: lui è un soggetto ispirato rispetto a fare un disco,a cercare un suono e tutto il resto.

Com’è nata questa collaborazione?
La collaborazione è nata attraverso il nostro Managment Peppe Casa, è stato bravo anche questa volta a trovare un produttore per il disco. Ce l’ha proposto lui, io ho ascoltato il materiale, mi sono fatto un’idea di che personaggio fosse. Siamo andati a fare le prove di un paio di brani nella primavera scorsa, ci è piaciuto il tipo di lavoro che faceva sui suoni e gli abbiamo dato l’ok; poi ci siamo rivisti a settembre e abbiamo iniziato a lavorare.
A me è piaciuto anche il modo in cui ha seguito la voce, il suono che ha tirato fuori…bello, consistente, di carattere.
Siamo contenti, è stata un’esperienza formativa, nel senso che il cammino che si fa è sempre al limite tra fare un lavoro e imparare un lavoro e in questo caso noi abbiamo imparato.

Il titolo “Disco d’oro” lo avete deciso quasi a fine partita…come mai?
Volevamo essere sicuri ma già l’idea era nell’aria. Quello che stavamo facendo ci piaceva parecchio e l’impressione era che il colore oro sarebbe stato illustrativo, “una smargiassata” ma per chi ci conosce è chiaro il nostro atteggiamento: abbiamo fatto un cosa molto romagnola, una grandeur da bagnino…Da noi si dice “A so tutt men” che significa “so tutto io”, “io sono il più bravo, io sono il più bello”: i Nobraino ci giocano parecchio su questa cosa, per cui abbiamo fatto il “Disco d’oro”, consci anche di tirarci contro qualche giornalista con la puzza sotto il naso.

Come mai la scelta del tedesco per parte dei testi?
Al di là delle mie origini ci sono due motivi specifici.
Badmeister è nata così, è nata dal ritornello: io ho fatto il cameriere in albergo fino a tre, quattro anni fa, da quando ero bambino, per più di 20 anni e il tedesco per me è una lingua che ho ben nelle orecchie…e quindi è nato il ritornello “Danke Schön e poi Auf Wiedersehen, non piangere biondina ci vediamo Nächste Jahre”.
L’anno scorso ho finito di scrivere il testo ma avevo il ritornello in testa da tre quattr’anni. Lo avevo registrato nei miei appunti ma non avevo mai avuto l’idea per un testo, per le strofe: poi l’anno scorso, dovendo fare un tour nei teatri, sono andato a rivedere i miei appunti,le cose che avevo lasciato in sospeso, ho trovato quella, ho avuto l’idea del bagnino ed è nata così.
Nella traccia nascosta del disco invece c’è proprio un ritornello in tedesco che è stato scritto appositamente: avevo la linea del ritornello, non avevo le parole, ma la linea era particolarmente dolce e l’italiano avrebbe tolto qualcosa al brano. Il brano è melodico, il testo invece è abbastanza duro: l’italiano avrebbe sdolcinato un testo che doveva rimanere così, allora ho pensato di andare a cercare delle cose in tedesco e ho messo una poesia di Goethe che parla dell’amore, perché il brano parla di quello, parla dell’assenza di amore. La poesia chiudeva proprio il cerchio, era in tedesco con un suono duro su una melodia dolce e la compensava, per cui funzionava ed è andata.

Giorni neri e giorni rosa…quali sono stati i vostri?
I giorni neri sono i giorni dell’introiezione, dove senti di non avere potenzialità nei confronti del prossimo, non riesci ad incontrare i pensieri dell’altro, che si tratti di uomo-donna, uomo-uomo, amici, sono quei giorni in cui non ti riesce, in cui ti sembra a stento di riuscire a gestire te stesso o a dare un senso al tuo; i giorni rosa sono invece quelli in cui hai da dare e riesci anche a dare, a mettere in moto quel meccanismo bellissimo del dare avere, del io vengo qua, tu vieni con me in questo equilibrismo nel cercare di toccare il sole e la felicità.

Qual è il processo creativo che c’è dietro una canzone dei Nobraino? Nasce prima la musica o il testo?
Non esiste…ci sono episodi in cui io scrivo su una musica ma sono abbastanza rari, probabilmente per incapacità mia. Io ho un modo di scrivere molto cantautorale per cui arrivo con dei brani,e da lì parte tutto.
È successo che io abbia un testo scritto a parte, tipo bunker; il più delle volte risono già delle idee anche melodiche legate al testo che poi vengono sviluppate con l’arrangiamento in studio.
In Minotauro io ho adattato un testo che aveva già una sua musica su un giro che aveva Nestor.
Ci sono molti modi: io penso che quando l’idea bussa, bussa. Siamo ancora poco lavorativi in quel senso lì.

Di solito i vostri sono lavori a 360°,musica e immagini si mescolano fino a creare vere rappresentazioni teatrali: nel caso di “film muto” invece le immagini sono messe a servizio del brano con un’ambientazione scarna e intimista. Come mai?
Perché il testo è troppo potente per essere veicolato ad un’interpretazione, non avrebbe proprio avuto senso, già le mani dorate sono una licenza: ognuno dovrebbe poterci vedere quello che vuole lì sopra.
Film muto è un brano che tutt’ora ascolto, e mi piace, quasi da estraneo.
Il video l’ho fatto io e ho pensato, da estraneo, che non volevo alcuna interpretazione del brano, perché è più bello se ognuno si immagina il suo. Il brano ha questo tipo di suono molto frontale, molto davanti al microfono, per cui il fatto di farlo in studio doveva rendere il più possibile realistico il playback, anche a scapito di scene più belle che ho tagliato nel montaggio, però l’impressione doveva essere che venisse suonato lì per lì.

Poi ho trovato una pagina molto carina su internet…una tua pagina di un sacco di tempo fa..“…per trovare il vero senso delle tue parole…parlami per immagini, per sogni, e fotografie”: è questo che fanno i Nobraino?
Siamo nell’epoca delle immagini per cui le scritture che funzionano di più sono quelle Gingsberghiane, che lavorano sulla struttura americana di quegli anni e che ci ha insegnato a parlare per polaroid. Io cerco una mia via per integrare un certo tipo di narrazione ad una storia, cerco di essere un po’ meno astratto: ho diverse scuole, diverse ambizioni, diverse velleità, mi piacciono anche le scritture puramente narrative, didascaliche; lavorare per immagini è quello che tento di fare in alcuni brani, quando mi riesce, lo mettiamo sul disco.

Sempre sulla stessa pagina internet mi sono imbattuta in qualcosa di insolito: mi racconti di “Osvaldo e Venere”?
Pensa un po’…un racconto che ho scritto forse più di 10 anni fa.
Al di fuori delle canzoni non scrivo più

Perché?
Non lo so perché. Sono uno che purtroppo non si sforza di fare le cose, se mi va lo faccio, altrimenti no.
Ho scritto un paio di racconti e quello mi piaceva.

Ma è una storia vera?
A me piace il platonico… a parte che a quell’età io ero proprio così, potevo restare a guardare la persona di cui mi invaghivo, facevo anche delle figure da idiota a volte..

Penso che le abbiamo fatte tutti..
Sì..si si…ma io mi immagino sempre un duro invece non lo sono stato, sicuramente, non lo so, comunque probabilmente non lo sono nemmeno: comunque ti immagini me quando ero ragazzino che se avevo la lei seduta al tavolo potevo stare le ore a guardarla..e lei poteva pensare “questo è scemo cosa guarda?”…potevo essere anche fastidioso a volte.
Per cui sì, ma in tutto quello che uno scrive c’è dell’autobiografia..sempre..tu vedi il mondo dai due occhi che hai lì.

Però molte volte capita che consiglino di non parlare di se stessi quando si scrivono libri o testi teatrali perché potrebbe essere pesate rendersi conto che la propria vita non interessa a nessuno.
Beh dipende da cosa si vuole fare da grande, se uno vuol fare il giornalista è normale che non deve scrivere di se stesso.

Beh io penso che quando scrivi, anche un’intervista, che può sembrare essere asettica, le emozioni escono sempre, anche se fai la recensione di un album, per quanto tu possa essere obiettivo una parte di te esce sempre.
E per fortuna: tra un po’ i computer faranno tutto da soli ma ci sono attività, come lo scrivere, che non saranno ripetibili da una macchina; non penso che il filtro umano vada azzerato, altrimenti sarei rimpiazzabile, e comunque non credo sia fattibile azzerarlo.
Posso capire che nelle scuole bisogna essere duri e disilludere i ragazzi che la loro vita interessi a qualcuno: c’è una sovrapproduzione di letteratura, anche di musica volendo.
Se qualcuno smettesse di scrivere farebbe un favore.
In quest’ottica qui immagino che un insegnante debba essere anche demotivante, no?!

Dipende,non lo so sai?!perché alla fine scrivere è anche una cosa introspettiva.
Se scrivi per te è un conto, se scrivi per un pubblico devi farti dei problemi.

Io non penso che tu quando hai scritto quei racconti, pensavi ad un pubblico. Tu le hai scritte perché le sentivi.
Nei racconti, che sono pochi, sono una manciata, non mi sono posto il problema; quando scrivo canzoni, adesso come adesso mi inizio a porre il problema del fatto che io voglio scrivere per un pubblico, non faccio l’hobbista, la prendo sul serio quando si tratta di attirare l’attenzione e il piacere del prossimo scrivendo. Raccontare del mio cane non sarebbe interessante, raccontare del cane che salva dei superstiti sul monte innevato può essere più interessante, e quel cane guarda caso assomiglierà al mio, perché se devo scrivere di un cane penserò al mio ma a quel mio cane devo far fare cose leggendarie, possibilmente ideologiche; è chiaro che ci sarà del mio ma a quel mio devo far fare qualcosa di extra-ordinario, perché l’ordinario sono affari tuoi, sono affari miei e non deve essere pubblico.

Una domanda sulla quale volevo coinvolgere tutti…il brano al quale siete più legati dell’album nuovo, se ne avete uno, e perché.
Lorenzo
: Il Minotauro perchè parla di quell’atto della propria personalità che ogni tanto ti viene a rompere il cazzo, ti fa fare quelle cose che non avresti voglia di fare, o ti fa raccogliere quelle sfide che non avresti voglia di raccogliere, hai presente?

Direi di sì…
Lorenzo
: Quando te dici “Non c’ho voglia” e poi arriva quella vocina che ti dice “Ma sei un cazzone” e ti fa sentire niente, ti toglie tutto, e ti spinge a buttarti. È il brano che ogni tanto cerco di ricordarmi perchè ce l’ho.
Barba
: dal’album nuovo..pensiamo..
Nestor
: aspetta aspetta aspetta..ora dice Bunker
Barba
: Nestor mi suggerisce Bunker per la notevole presenza di tromba.
A me piace molto il disco in generale ma ti dico Bademaister: la storiella del bagnino romagnolo mi è rimasta in testa
Bartok
: Bademaister perché ho fatto il bagnino per due o tre anni ma non sono mai riuscito ad essere come quel bagnino lì, è un mio grande ispiratore.
Nestor
: Vix devi dire il tuo brano preferito del disco e perchè
Vix
: il record del mondo perché è il rock n roll.
Nestor
: per me è il mio vicino, perché è bello.
Barba
: dai Nestor…articola un po’ la risposta…

A questo punto è il caso di spegnere il registratore, riporre tutto in borsa e continuare a brindare con i Nobraino prima del concerto.
È vero, neanche un’intervista non può essere mai completamente incontaminata, siamo sempre di fronte a sensazioni e pensieri che sporcano il bianco candido e stereotipato dell’impersonalità anche attraverso le parole.
Sentirsi a casa con persone mai viste, alle quali si doveva fare solo un’intervista non accade tutti i giorni e non può passare inosservato.
Grazie ai Nobraino.

a cura di Azzurra Funari

 

 

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