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Interviste

Intervista ai GIARDINI DI MIRÒ

Dopo un’astinenza di due anni abbondanti, il quinto album dei Giardini di Mirò (clicca qui per la recensione) ha il retrogusto dolce dei doni che aspettiamo con trepidante attesa. Good Luck, è questo il titolo del nuovo lavoro del gruppo emiliano, sembra quasi un augurio di speranza per superare le inquietudini che trapelano dalla nostra società attuale.
Ne abbiamo parlato direttamente con loro.

Intervista a cura di Marilù Iannone.

Benvenuti su Impatto Sonoro. Andiamo subito al sodo: Good luck, il titolo dell’album, a cosa e a chi è indirizzato?
E’ rivolto a noi stessi, che dopo qualche ritorniamo a fare un disco in un momento non proprio brillante per la discografia. E ovviamente ai nostri amici e fans, ché stiamo tutti attraversando tempi bui e non sappiamo come ne usciremo.

Com’è nata la scelta dell’immagine della copertina dell’album?
E’ frutto del lavoro di Francesco Forti e del suo TOGO studio, che ha sede a Modena e ha già lavorato sulla copertina de “Il Fuoco”. I ragazzi di Togo, Francesco e Bitto, c’hanno proposto di collaborare con Francesco Bevini che è un artista modenese e da qui è nato tutto il progetto. La nostra scelta è stata quella di valorizzare realtà e prodotti del nostro territorio per dar voce alle cose che ci accadono intorno.

Qual è l’emozione profonda che suscita in voi la musica? E la vostra musica? Avete mai l’impressione che non appartenga a voi e che arrivi da un luogo sconosciuto e misterioso?
No! La nostra musica arriva direttamente dalla sala prove in cui proviamo, nella provincia reggiana. Ed è frutto di duro lavoro, mica di ispirazioni divine. Se poi questo è l’effetto che fa a chi ci ascolta, significa che siamo bravi a mascherare il mazzo che c’è sotto. Per quanto riguarda la prima domanda, ognuno di noi la vive in modo diverso, però è ovvio che se suoniamo insieme da tanto un minimo comune denominatore (oltre alla profonda amicizia che ci lega) è sicuramente il sentire la stessa tipologia di emozioni associata ad una determinata atmosfera.

Come nascono le partecipazioni nell’album di Stefano Pilia dei Massimo Volume, Sara Lov e Angela Baraldi?
C’è innanzitutto il rispetto (speriamo) reciproco, e in qualche caso un’amicizia di lunga data. Sara Lov è un dono che ci ha fatto Francesco (Donadello, batterista per 7 anni della band e ora sostituito da Andrea Mancin, già My Awesome Mixtape), con cui ha suonato in molti tour, addirittura in Cina, quando ancora Sara condivideva il progetto Devics con Dustin O’Halloran. Stefano è un grandissimo chitarrista, stupefacente sia con i Massimo Volume che con le sue cose più sperimentali. Angela è una cantante bravissima, che entra subito nel mood del pezzo e che ha fornito una patina di eleganza in più ai nuovi brani.

In un’ intervista riguardante il vostro precedente album DIVIDING OPINIONS avete dichiarato “siamo un gruppo di grandi ascoltatori, abbiamo tante influenze…”
In Good luck , mettendo bene in chiaro che comunque i Giardini di Mirò hanno una loro fortissima identità che li ha sempre contraddistinti, quali sono le influenze musicali più evidenti?
E’ sempre più difficile dare una risposta quando si parla di influenze…primo perché crescendo si tende a frullare sempre più tutti gli ascolti in un magma poco definito, secondo perché ognuno ha messo del proprio e si finirebbe per fare una lista lunghissima di nomi. Su wikipedia c’è scritto: “La musica del gruppo vive però di influenze anglossassoni, in particolar rifacendosi inizialmente al post rock per arrivare ora ad un suono proprio che è un mix di psichedelia, shoegaze, dream pop, noise, post punk, musica d’autore e molto altro.” Mi sembra una risposta completa.

Come vivete la dimensione live? Quanto è importante per voi relazionarsi con il pubblico?
Il motivo stesso per cui si fa un disco, nel 2012, è quello di andare in Tour e poter incontrare tante persone, amici di vecchia data, e nuovi. Ora abbiamo anche una formazione nuova, che oltre ad Andrea alla batteria, vede la partecipazione di Georgia Minelli alla voce e ai cori. Il suo innesto ci permette di poter suonare alcuni brani che avevamo dimenticato nei tour precedenti. Siamo soddisfatti di come stanno andando le cose. C’è molto da lavorare ovviamente (siamo a inizio tour), ma le premesse sono molto positive.

Credo che Good luck sia un album di grande maturità espressiva, canora, musicale e concettuale. Siamo difatti dinanzi ad un lavoro piuttosto omogeneo e curato meticolosamente in ogni suo aspetto. Ho letto che avete escluso due canzoni che originariamente avrebbero dovuto far parte di esso, per quali ragioni e con quali criteri avete scelto di escludere quelle anziché altre?
Diciamo che una volta collezionati i primi 8 brani (in cui erano presenti quei due brani poi esclusi), ci siamo resi conto che il disco assumeva una piega diversa da quella che ci eravamo prefissati. Forse un po’ troppo ombrosa per i nostri gusti attuali. Nello stesso momento Francesco ci ha espresso il suo desiderio di trasferirsi a Berlino. Questo è stato l’input per decidere di scrivere due nuovi brani, con un nuovo batterista. E sono uscite Ride e Good Luck, forse i pezzi più sbarazzini e veloci del disco. Ci sarà modo di recuperare i due inediti, o nella versione Itunes di Good Luck, o direttamente su un Ep che uscirà prossimamente per il mercato francese.

Le vostre canzoni sono sempre molto attente ai mutamenti del mondo e dell’anima. Osservando la società nella quale viviamo con quale sguardo guardate al futuro? E quanto credete sia importante ora, mentre tutto tende a livellarsi verso un’ assoluta mediocrità, fare della buona musica come fate voi e restare, in un qualche modo, aggrappati all’arte, quella vera?
Noi abbiamo la fortuna di avere tutti altri lavori, e possiamo quindi fare musica solo per il gusto di farla, senza il pensiero di dover pagare le bollette con il frutto del nostro lavoro. Questo ci permette di mantenere una certa dose di onestà di pensiero che credo sia un enorme privilegio di questi tempi. Riflettendoci è proprio questo che sta rovinando la musica. La mancanza di strutture, di soldi che girano, di sicurezza che solo 10, 15 anni fa erano un obiettivo per qualsiasi gruppo, e che, una volta raggiunto, rappresentava forse la vera libertà per ogni musicista: poter fare musica a tempo pieno, senza altri pensieri lavorativi. Detto ciò il futuro non sorride a questa generazione, e tanto meno a noi poveri musicisti. Per questo ci serve un po’ di fortuna.

Nel panorama musicale italiano, quali sono gli artisti che più avete amato e quelli che più apprezzate in questo momento?
Come ascolti è indubbio che i nostri riferimenti sono all’estero. Soprattutto oltreoceano. In Italia invece l’attenzione va sempre più verso la lingua italiana. Per certi aspetti la reputiamo una sconfitta,noi che credevamo che una certa scena italiana potesse confrontarsi con epigoni stranieri sullo stesso campo. Invece, forse a casua proprio della globalizzazione, c’è stata una specie di reazione che ha portato a chiuderci nei nostri confini, invece di cercare di varcarli con il potere comunicativo dell’inglese. Noi restiamo di questo avviso, anche se abbiamo registrato un brano in italiano (Bufera, rifacimento del brano “Per i morti di Reggio Emilia” di Fausto Amodei) e ci siamo divertiti molto e non è detto che prima o poi non ci vengala voglia di provare a scrivere nel nostro idioma. Riguardo ai gruppi, ci sono legami di amicizia che ci legano a Yuppie Flu, Massimo Volume, Offlaga Disco Pax, Julie’s Haircut.

Se dovessi fare una critica all’album, qual è l’aspetto o il particolare di esso che più ti soddisfa; e quale c’è, se c’è qualcosa che ti lascia leggermente insoddisfatto?
Sai, è abbastanza difficile essere oggettivi con un proprio disco, soprattutto dopo poco dalla registrazione e dall’uscita. Inoltre anche quelli che sembravano difetti all’inizio, con il tempo e con gli ascolti diventano particolari fondamentali al brano. Poi l’elaborazione che si fa dal vivo trasforma totalmente la percezione che si aveva prima del tour, ed è sempre molto divertente riscontrare la metamorfosi che le canzoni subiscono senza volerlo, solo suonandole e risuonandole. Questo per dire che ora è forse troppo presto per capire cosa ci soddisfa o no, solo il tempo lo dirà. Per ora restiamo convinti di aver dato il massimo, e questo ci soddisfa sufficientemente.

Ultima domanda prima di salutarvi: Avete un sogno musicale che non avete ancora realizzato?
Ci sono tanti palchi che vorremmo calcare e tanti luoghi che vorremmo visitare. Però non ci possiamo di certo lamentare, siamo riusciti a toglierci molte soddisfazioni e ancora molte altre arriveranno.

a cura di Marilù Iannone

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=-0IKOIwGoVU[/youtube]

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