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Meshuggah – Koloss

2012 - Nuclear Blast
experimental/metal

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Tracklist

1. I Am Colossus
2. The Demon’s Name Is Surveillance
3. Do Not Look Down
4. Behind The Sun
5. The Hurt That Finds You First
6. Marrow
7. Break Those Bones Whose Sinews Gave It Motion
8. Swarm
9. Demiurge
10. The Last Vigil

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Che i Meshuggah siano uno dei gruppi più innovativi e rivoluzionari, non solo del metal ma dell’intera scena musicale mondiale, è fuori discussione, che piaccia o no. Persino band come i Tool e Metallica li hanno annoverati tra le loro influenze (anche se sulla dichiarazione di Ulrich e soci bisognerebbe effettivamente capire DOVE stiano tali influenze).

Dotati di una personalità enorme, hanno sempre rappresentato un entità a sé stante (forse solo i Sigur Ros hanno saputo fare altrettanto), sin da quando all’uscita di dischi importantissimi come “Destroy Erase Improve” e “Chaosphere” vennero erroneamente catalogati da molti come debitori prima di tutto del suono dei Pantera (?!?!).
Ma erano altri tempi, e mentre il panorama heavy, che si stava riprendendo dalla bordata del grunge, cadde pericolosamente in quella spirale senza sbocchi che fu il Nu-metal, il loro suono era già troppo avanti per essere compreso appieno e quei dischi rimasero per molto tempo un culto.
Poi arrivò “Nothing” e qualcosa si mosse.
Ozzy (che potrà esser diventato un personaggio risibile ma su certe cose ci vede sempre lungo) li volle nel suo Ozzfest e l’America impazzì, lanciando Haake e soci finalmente nell’olimpo dei gruppi metal mondiali.
Il pregio di quel disco fu quello di trasformare alla perfezione quel sound sghembo, contorto, elastico e totalmente a-melodico, in un micidiale mix di groove e claustrofobia.
Perchè si sa, se sai far muovere il culo, che tu lo faccia con un 4\4 o con un poliritmo stortissimo poco importa, la gente impazzisce lo stesso; aggiungiamo a questo una capacità in sede live assolutamente perfetta e il cerchio si chiude.
Successivamente l’ Ep “I” e soprattuto il meraviglioso e sottovalutatissimo “Catch 33” (apice sin’ora della loro sperimentazione) hanno continuato l’evoluzione della loro musica verso territori sempre più alieni, fino ad arrivare a quell’ “Obzen” che per chi scrive rappresenta forse l’unico anello debole del gruppo, non tanto per la qualità dei brani, quanto per un suono sin troppo piatto e meccanico, inadatto alle loro canzoni (non stiamo mica parlando dei Fear Factory!).
Non per niente i brani di quel disco rinascono totalmente a nuova vita grazie al DVD “Alive”.

Così ora, mentre la maggior parte dei gruppi della cosiddetta scena “Djent” (termine ridicolo) fanno a gara a chi abbassa di più l’accordatura della chitarra, ecco che esce questo attesissimo Koloss.
La prima cosa che salta all’occhio, anzi all’orecchio, è la produzione, perfetta, potente calda, incredibilmente “organica” (e se mi si permette, fortunatamente), lontanissima dai clichè ormai stantii del metalcore moderno di gruppi come Periphery, Devil Wears Prada ecc. dove tutto è compresso, artefatto e privo di qualsiasi dinamica.
Sembra quasi che il gruppo abbia abbassato le distorsioni per rendere il suono meno metal, alla facciazza nostra.
La partenza del disco è affidata a “I Am Colossus” brano lento che ricorda molto da vicino i pezzi di “Nothing”.
Con la successiva traccia “The Demon’s Name is Surveillance” arriva la prima sorpresa, una canzone allo stesso tempo diretta e contorta dove chitarre che si attorcigliano su se stesse si avvolgono ad un tappeto di doppia cassa continua, sino ad arrivare ad un assolo come non se ne sentivano dai tempi di “Destroy erase Improve”.
“Do not look Down” mescola sapientemente vecchio e nuovo, quasi come se una “Suffer in Thruth” fosse stata scritta ai tempi di “Catch 33”, disco dalla quale sembra uscita anche “Behind the Sun” in cui i tempi rallentano notevolmente e tutto diventa più cupo.
Proprio in questi casi la band dà il meglio di sé.
Arriviamo a metà disco con quello che è forse il pezzo più bello, quella “The Hurt That Finds You First” con una prima metà velocissima e diretta che ci rimanda addirittura alle origini thrash del gruppo, un lento finale strumentale psichedelico ed alieno e un Jens Kidman in gran forma come sempre.Spiazzante.
Dopo “Marrow”, sempre a metà strada tra “Nothing” e “Obzen”, la velocità scende di nuovo con “Break Those Bones Whose Sinews Gave It Motion”, dotata di un groove incredibile e una parte centrale strumentale molto rarefatta.
Una ”Swarm” per certi versi quasi prog ci porta a “Demiurge” ultimo brano cantato del disco, lento e pesante come un macigno, dove inserti di chitarra solista disegnano melodie spettrali tra il magma ritmico.
Con lo strumentale “The Last Vigil”, una bellissima chitarra pulita ci accompagna delicatamente alla fine di questo “Koloss” e non potrebbe farlo nel migliore dei modi.

C’è poco da dire in definitiva su questo nuovo tassello della discografia dei Meshuggah se non fare un plauso ai quattro svedesi.
Ormai consci del proprio ruolo, i Quattro di Umea stanno limando pian piano ogni sfaccettatura del loro suono, certo forse abbandonando, per lo meno momentaneamente, la vena più sperimentale ma mantenendo una qualità e una costanza invidiabili e inarrivabili (c’è da dire anche che un suono talmente personale come il loro difficilmente porterà a chissà quali radicali svolte stilistiche).
Non so dire se è vero che ora come ora “il metal sia vivo e stia benissimo” per citare il buon Luca Signorelli di parecchi anni fa, ma finchè ci regala dischi come questo o come quel mezzo capolavoro di Utilitarian dei Napalm Death possiamo vivere sogni tranquilli.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=YD17dQYslxQ[/youtube]

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