Cori Gospel, Mississippi e campi di cotone, il reverendo James Brown incontrano ricoloop o dubfx, chitarracce blues e droni di voce e kaosspad. Stiamo parlando di Gianluca Taraborelli da Trento, già nei Fonda Sisters e batterista nei Nurse!Nurse!Nurse! Che dopo un ritiro newyorkese torna come Johnny Mox e con in mano il primo disco, Say Yeah! to the craving flock. Tre anni dopo sforna We=Trouble e nel frattempo si fa le ossa suonando in Italia e all’estero.
We=Trouble è un disco composto in gran parte da voce e loop, ma estremamente difficile da travasare in parole. Per descriverlo non basta parlare della stratificazione di voci e ritmiche, di cori gospel, sermoni incalzanti, scarne ritmiche di chitarra blues e detonazioni di beatbox. L’idea di base è la circolarità delle voci ma si aggiunge sempre qualcosa, che siano tappeti di armonizzazioni, contrappunti e incastri o improvvisi beat vocali pressanti, e il risultato è sempre maggiore della somma degli elementi.
Il rosso che domina la copertina e tutta la grafica del booklet (grafica peraltro pregiatissima e ottimamente realizzata) ricorda uno dei più famosi cocktail dello stesso colore, il negroni. Sebbene sia sufficiente mescolare gin, martini rosso e campari in parti uguali è molto facile distinguere un negroni pessimo da uno ottimamente realizzato. Nella sua perfezione i tre ingredienti non si sovrastano mai l’un l’altro e si mescolano armonicamente nel creare qualcosa di diverso e nuovo, una nuova bevanda estremamente ben bilanciata e – lasciate che ve lo dica – decisamente migliore.
Il disco di Johnny Mox è esattamente così: ha un sapore denso e corposo, molto intenso. Impegna tutte le tue papille mentre lo gusti e ti lascia un retrogusto leggermente amaro in bocca, ma non appena finito di assaporare un sorso stai già allungando la mano per prenderne un altro. Usa ingredienti ben noti – alcuni lasciati ad invecchiare da svariati decenni – e il risultato è perfettamente bilanciato, omogeneo.
A rinfrescare il tutto, come il ghiaccio e la fettina di arancia, ci sono dei testi acuti e taglienti, critiche non scontate frutto di riflessioni su una condizione di staticità e disagio da cui è difficile non sentirsi toccati. We are trouble perchè in un mondo che si sta fermando e non offre opportunità di rinnovamento, chi ha voglia di fare qualcosa di nuovo è visto come un problema. Come è giusto che sia.
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