Al secondo giro (dopo l’esordio Thirtyeahs) i genovesi Gandhi’s Gunn si confermano come una delle realtà più felici e convincenti del panorama heavy italiano. La prerogativa della band è indubbiamente quella di originare un sound granitico e d’impatto, massiccio ma allo stesso tempo agile, fruibile e profondamente rock’n’roll; generato dallo Stoner, quello polveroso e motorizzato di scuola americana (Fu Manchu, Clutch), imbastardito con l’heavy grunge dei migliori Soundgarden (quelli di Badmotorfinger).
La macchina funziona perfettamente, la tripletta iniziale è da knock out senza discussioni: l’attacco all’arma bianca di Haywire, le convulsioni di Under Siege, le chitarre a pioggia di Breaking Balance non danno scampo e mettono l’ascoltatore all’angolo. Le atmosfere si fanno crepuscolari con Flood, che parte lenta ed acustica e dal mood malaticcio alla Alice In Chains, per poi esplodere nel refrain con una potenza notevole: in questo brano è piuttosto evidente la fascinazione per dei suoni tipicamente anni ’90 che permettono a The Longer The Beard The Harder The Sound di non restare agganciato staticamente ad uno stile di riferimento univoco. Si riparte a manetta con le successive Red e Rest Of The Sun, bordate heavy rock dove a farla da padrone è la gran bella voce di Giacomo Boeddu, potente e azzecatissima per il genere proposto. Ulteriore merito è la produzione, veramente di alto livello e che non sfigura affatto a fianco di lavori di nomi internazionali molto più blasonati dei nostri.
La chiusura lisergica ed heavy psych è affidata alla lunga Hypothesis, in cui i Gandhi’s Gunn si gettano in un maelstrom orientaleggiante in cui affogano per non uscire più.
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