Los Angeles è un mattatoio per la spiritualità. Libro dei Dodici passi in mano e chitarra sulle spalle, Alex Ebert ha abbandonato la città degli angeli da qualche anno e d’allora viaggia per gli Stati Uniti in lungo e in largo accompagnato da una banda che oggi è composta di nove pezzi, domani di quindici. Un po’ Bob Dylan, un po’ hippie, un po’ oracolo, Ebert ha un’apprezzabile quanto disastroso passato alle spalle: voce (attuale) degli Ima Robot, la droga e i bordelli dello showbiz gli hanno distrutto la vita.
Convinto di poter rinascere spiritualmente (e musicalmente) si affida a uno pseudo-santone redentore nato direttamente dalla sua matita, tal Edward Sharpe, ma nei sobborghi del mattatoio ha il tempo di scoprire anche il talento soul di Jade Castrinos, vocalista underground della scena locale. E la New Weird America. Così Bob trova la sua Joan e finalmente il progetto Edward Sharpe & The Magnetic Zeros può partire. La prima produzione Up from below è un quasi-fiasco messo in salvo soltanto dal singolo Home, nel duemilanove uno dei brani più richiesti dai pubblicitari e dai networks televisivi di mezza Europa. Il duemiladodici è l’anno di Here. Here è una delle tante ricette per la
felicità terrena che apre uno squarcio e affonda le radici nell’ambiente spiritual americano. Già, perché di questo si tratta. Discutibili o no, Ebert si avvale di Sharpe per irrompere nell’anima (considerata metafisicamente) attraverso semplici idee di riabilitazione spirituale trasfigurate in parole contenute in un ellepì della durata di circa trentotto minuti, in cui però non ci sono affermazioni sconclusionate, trascendentali o soprannaturali, perché Sharpe è Here, è qui tra noi e da nessun’altra parte. Soltanto pochi concetti, alcuni New Age altri non così eclettici, ma assoluti. One love to another è l’esplicita continuazione di One love (su cui è inutile soffermarmi) di Bob Marley, spalmata su un filo d’organo e idealmente accompagnata da migliaia di accendini accesi. I paragoni con Devendra Banhart e il suo freak folk invece si sprecano per I don’t wanna pray, atavica interrogazione sull’esistenza divina, e per Man on fire, giudizio sulla difficoltà di riciclarsi in qualcosa di diverso e incerto. Avviene anche il miracolo (è proprio il caso di dirlo) di ascoltare il mississipiano southern country fare l’amore col gospel nell’abside di una chiesa evangelica in That’s what’s up. Non c’è solo Sharpe in Here, c’è spazio anche per l’Ebert uomo che si converte, prima morendo nelle note folk di Dear believer, poi resuscitando nella ballata di All wash out.
Here indica allusivamente un cammino da percorrere, per chi vuole. E tutti i cammini di questo genere non possono che portare in alto facendoti
salire un gradino alla volta. Fino a raggiungere cosa è un altro paio di maniche. Continuate così.
Focus on: Man On Fire, That’s What’s Up, One Love To Another
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