Impatto Sonoro
Menu

Interviste

Intervista a MANUEL AGNELLI (Afterhours)

M: Pronto?
L: Pronto, Manuel?
M: Sì.
L: Ciao, sono Luisa di Impatto Sonoro.
M: Ciao, ciao, buongiorno.
L: Disturbo? Puoi parlare?
M: No no no, posso parlare. Guarda, sono in treno, quindi magari ogni tanto potrebbe anche cadere la linea, ma…
L: Ok, va bene.
M: Sappilo. (rotaie stridentissime)
L: C’è un po’ di casino in effetti.
M: Sì aspetta, adesso cerco un posto dove ci sia magari meno… Meno rotaia urlante… Spetta un attimo…
L: Non ti ficcare in bagno che sono in uno stato pietoso di solito.
M: No no, non ci posso… Non ci vado perchè non c’è l’aria condizionata
L: E si crepa.
M: E dopo 2 minuti li… Per il resto aspetta un attimo che forse ho trovato un posto adatto eh. Si, qua è un po’ più tranquillo in effetti. Se vado su ancora… No, è tipo forno crematorio.
L: Strano!
M: Però va bene. Ma va bene lo stesso non c’è problema
L: Beh o vai nel forno crematorio o vai nel refrigeratore totale a meno 12…
M: No no…
L: …Coi treni.
M: Esatto (ride). No no va bene così dai. Ottimo. Ci sono.
L: Allora, intanto mi scuso perchè sarò emozionatissima, quindi… potrei fare qualche cappella.
M: (ride)
L: Si si, guarda. è la prima intervista che faccio e quindi è un pò… Così.
M: Ottimo! Bene bene!
L: Quindi trattami bene, stai attento.
M: Va bene, va bene, prometto.
L: Ok, grazie!

L: Allora, vorrei iniziare a parlare del vostro ultimo album “Padania” chiedendoti dell’artwork. Nel libretto all’interno voi avete questa specie di lattice in viso. Il concetto che volevate esprimere è un invito a levarsi la maschera, o mi puoi dare qualche altra interpretazione?
M: Sì. Sono due o tre i significati. Uno, è proprio quello di levarsi la maschera. Infatti le prime foto che ci sono all’interno della confezione, nel libretto, sono di noi che siamo il più inespressivi possibile, come se fossimo statue di cera di noi stessi. E’ un po’ il concetto di mancanza di trasparenza dei nostri giorni, dei nostri tempi: la mancanza di sincerità ma anche e soprattutto la mancanza di conoscenza di se stessi.
Per cui non è una cosa che riguarda soltanto l’esterno, come ci rapportiamo all’esterno. Non sono maschere da furbi, sono maschere da idioti. Per cui da persone che proprio non si conoscono. E poi dietro sì, c’è questa specie di cosa metaforica del riscatto, della persona che si toglie la maschera, ma soprattutto prende coscienza di sè, ecco. Si toglie quella patina di finto… Poi ci sono anche le altre letture. Tipo anche del simbolo dei nostri tempi; quella maschera in realtà è una maschera di bellezza.

L: Sì, infatti, un peeling? (rido)
M: Sì, esatto. (ride) Quindi c’è anche questa lettura dell’apparire a tutti i costi, però appiattendo in realtà quello che hai detto. Sono cose molto semplici, però ci piaceva giocare con queste cose qua x dare una lettura di “Padania” che fosse quanto più interiore ed attualizzabile. Poi a livello proprio di  situazione-società e non tanto politica. Come molti chiaramente hanno subito rilevato. E’ anche normale.
L: Perché, diciamo, il termine era provocatorio.

M: Sì sì.
L: Aspetta, mi hai detto che c’erano 3 significati… manca il terzo?
M: Uno era proprio quello della vacuità dell’apparire se vogliamo, la mancanza di conoscenza di noi stessi e anche la mancanza della sincerità, perciò della falsità… Per cui più o meno sono 3.
L: Hai detto che il concetto alla base di “Padania” è una questione più mentale, piuttosto che  esclusivamente geografica o con un significato necessariamente politico, che rappresenta appunto quello che non vuoi essere, o non vuoi sapere di essere ma che sei diventato e hai avuto un percorso che non era il tuo, deviato da altri sviluppi di vita, di obiettivi che hai perso per la tua personale evoluzione. Hai parlato tanto di significato sociale per “Padania”. Però lo sguardo sembra essere rivolto anche verso l’interno. E’ ambivalente?
M: Sicuramente lo è, però non volevamo fare un disco SOLO rivolto verso l’interno come è successo altre volte. Non ho niente contro i dischi rivolti all’interno, ne ho fatti un sacco; però questo doveva essere il risultato di mesi in cui un po’ tutti noi ci siamo guardati intorno per raccontare anche le storie di altri, non solo la nostra. E anche la situazione degli altri, non solo la nostra. Chiaro che il punto di vista è il nostro, quindi il vissuto è il nostro, la sensibilità è la nostra. Quindi ci siamo noi, ci siamo eccome, e certe volte raccontiamo anche di noi stessi, però sono storie che sicuramente riflettono di più quello che abbiamo visto in giro, all’esterno.
L: C’è questo cambiamento ossessivo, come forte parte concettuale di “Padania”, che alla fine porta una persona a dimenticare cosa vuole essere. C’è qualcosa in particolare che vi ha fatto riflettere su questi concetti e ha portato voi Afterhours come gruppo, o anche te individualmente a compiere questo tipo di riflessione nell’album?
M: Sì, sicuramente ci è successo, ma io credo che succeda a tutti. Cioè, poi per raccontare delle storie trovi un carattere, gli dai un nome, una collocazione geografica. La verità è che spesso le storie che racconti sono veramente molto comuni. Succede a tutti di avere un percorso nella vita, succede a tutti di partire da un punto ed essere delle persone e poi trasformarsi completamente in qualcos’altro. E non riconoscersi più. Pensa a quando avevi 16 anni: pensa a cosa sognavi, a cosa volevi essere, alle cose in cui credevi. E a quello che sei diventato. Magari tu puoi credere ancora alle stesse cose, di essere la stessa persona, e poi ti sei comportato in maniera completamente diversa da come volevi comportarti, dalla persona che volevi essere.
L: Si perde la bussola…
M: Perdi un po’ la bussola per cercare di avere dei risultati, per cercare di diventare la persona che volevi diventare. Però poi attraverso un sacco di compromessi, attraverso un sacco di situazioni compromissorie e anche violente nei confronti di quello che invece eri veramente, sei diventato una persona invece molto distante. Molto distante da quello che volevi essere.

L: In “Metamorfosi” torna ancora il concetto del cambiamento. Con un’ allarme in più: quando canti “ciò che non ho, e perderò, non torna” è un’esortazione a svegliarsi? a rendersi conto dello stato delle cose?

M: A rendersi conto ma soprattutto a non sedersi in questo limbo, in questa attesa. C’è anche questo concetto dell’attesa, dell’aspettare il momento giusto, la situazione giusta.
L: Anche della speranza fine a se stessa, illusoria.

M: Sì, anche. C’è questo concetto per cui poi il senso viene dato all’attesa, al percorso, e non al risultato e non all’obbiettivo che volevi raggiungere. Per cui la metamorfosi è sicuramente un processo evolutivo o non, o un cambiamento che non decidiamo noi, che avviene indipendentemente dai nostri cambiamenti, dalle nostre volontà. E questa cosa succede alle persone, che lo vogliano, o no. Che hanno l’illusione di poter dirigere la propria vita da una parte o dall’altra ma poi succede tutto lo stesso.
L: Si soffre un po’ di delirio di onnipotenza.
M: Sì, ma anche senza arrivare lì. Sono storie, quelle emotive di cui parliamo nel disco, che possono appartenere sia a perdenti che a vincenti. Non sono storie che per forza sono corrispondenti a quello che uno ha fatto nella vita. Per cui non è per forza la storia di un manager o di un primo ministro o quella di uno che è senza casa. Credo che alcune tensioni siano proprio comuni, indipendentemente da come ti vanno le cose nella vita. Anzi, probabilmente è altrettanto facile perdersi anche se le cose ti vanno molto bene, anche se sei uno vincente.
L: Perchè segui il flusso e non ti fai troppe domande?
M: Non ti fai troppe domande oppure te ne fai tante e sbagliate. Perchè vuoi ottenere risultati, le tue risposte sono i risultati, come spesso si dice, no? “No, io non parlo, ma faccio”. Però è lo stesso. Fare e ottenere risultati senza averli elaborati, poi ti porta molto, molto lontano da dove volevi arrivare. Con un sacco di medaglie. Ma proprio lontano da dove volevi essere.
L: Con poca sostanza realmente tua.

M: Sì.
L: Sempre parlando di “Metamorfosi”, a livello vocale ti hanno accostato a Stratos, parlando quasi di tributo…
M. Io non capisco molto perchè ogni cosa debba essere un tributo a qualcosa o qualcuno. Tributi non ne abbiamo mai fatti, nel senso che anche quando abbiamo fatto covers abbiamo sempre cercato di farle nostre, “rubandole” alla fine. Ti dico, io mi sono ispirato ai canti berberi, che sono parte di tutto un patrimonio, che ho cercato di andare a scoprire negli ultimi anni, di cantanti etnici. E ce ne sono tanti altri: canti mongoli, tibetani, balinesi. Tutta roba che nel disco non è finita, per fortuna. Però questi mi sembravano un pochino più naturali.
E’ chiaro che la gente cerchi sempre di trovare dei paragoni, è una distorsione che abbiamo, e va bene così, per carità, anche se in Italia è una cosa abbastanza noiosa, anche perchè spesso poi non ci beccano. Con Stratos non dico che non c’entri niente quella cosa, perchè Stratos aveva fatto già un sacco di cose e cantava in italiano, quindi è facile andare a parare lì. Stratos aveva fatto tante sperimentazioni, e tante sperimentazioni in italiano. Per cui per forza di cose si ricordano quello che aveva fatto Stratos.
L: Ma anche perchè nell’immaginario comune è quello più noto.

M: Nell’immaginario qua. Se tu lo fai sentire ad un americano, che non sa neanche chi è Demetrio Stratos, alla fine i paragoni che trova sono forse invece i più giusti e i più vicini, ti dice ‘canti nordafricani’, che è un po’ più normale e naturale. La gente deve per forza andare a fare i paragoni perchè la conseguenza è: “Ah, lui si ispira a Stratos, ma Stratos era un’ altra cosa etc etc” e poi salta fuori il giochetto, che è quello di star sempre a mani in alto. E questa distorsione qua purtroppo non è musicale,  è l’imbarbarimento nel modo di analizzare le cose che si è fatto negli ultimi anni, anche grazie ai reality show e anche alle storie come X-factor etc… che hanno istruito la gente ad ascoltare la musica a livello di performance, esclusivamente, come se fosse salto in alto. E quindi a giudicare le cose soltanto dal punto di  vista tecnico. Ed è una cosa veramente molto barbara secondo me. Però, al di là di questo, con tutto il rispetto per Stratos, che era grandissimo, e per gli Area, che sono stati grandissimi, non ci siamo mai ispirati né a lui né agli Area, tanto per essere chiari.
L: Comunque c’era questa polemica un po’ diffusa e ti ho chiesto di chiarircela.

M: Certo, lo so che è un po’ diffusa, ma tanto è inutile… La gente vuole pensare delle cose e le penserà anche quando gliele racconti e gliele spieghi. E’ quello che la gente vuole anche credere, no? E io ho letto cose molto belle su questo disco e mi ha fatto molto piacere. Ma all’interno di queste cose belle ce n’erano tante che non erano giuste e lo so che uno dice “Ti sto facendo dei complimenti. Ma prendili e sta zitto no?”. Per esempio in questo disco tutti dicono che il ritorno di Xabier ha condizionato in positivo i suoni del disco, ma Xabier ha composto due pezzi e ha suonato in cinque su quindici. Chi ha fatto i suoni del disco sono Giorgio Ciccarelli, Rodrigo D’Erasmo e io, alla fine. E il fatto che comunque ci sia stato uno spirito comunitario di band non indifferente, per cui la band conta più degli elementi singoli che la compongono, la sinergia ha fatto più degli elementi singoli e in questo Xabier c’entra, e anche tanto, perchè è un musicista eccezionale ma soprattutto una persona con un’energia eccezionale, però è ingiusto poi che uno come Ciccarelli, soltanto perchè non è sotto i riflettori o è sempre stato considerato un sideman, non si prenda i meriti che ha, perchè la gente pensa che Xabier sia il rumorista sperimentatore e tutti gli altri dei canzonettari. Non è mai stato così, non è così ed è un altro esempio di come le cose si possano distorcere.
L: Beh, un’altra cosa da ribadire…

M: Sì, ci sta per giustezza nei confronti di una situazione e delle persone alle quali non viene dato il giusto merito e siccome suonano con me io ci tengo e anche tanto. Perchè comunque voglio loro bene. E quindi mi dispiace vedere Giorgio leggersi una marea di recensioni nelle quali lui non viene neanche mai citato. Quando invece è una delle figure chiave dei suoni di questo disco. Ed è veramente un peccato. Peraltro non c’è niente da fare perchè quello che vuole pensare la gente lo pensa e basta.
L: Una voce in più proviamo a metterla.

M: Dall’alto della mia veneranda età ormai non ho visto cambiare le cose MAI in questo senso e quindi non credo che cambieranno neanche questa volta.
L: Beh, non è che non ci si deve mai provare, no?

M: Diciamo che certe cose magari non le prendi tanto in considerazione, per fortuna, quando devi realizzare dei dischi o scrivere delle canzoni. Però è vero che, quando il disco viene ascoltato all’esterno e arrivano le reazioni, ti rendi conto di quante cose sono arrivate e anche di tante che non sono arrivate o sono arrivate in modo sbagliato. C’è sicuramente una superficialità all’analisi e una disabitudine in generale all’ascolto, data anche dalla mancanza di disponibilità nei nostri tempi. Questo lo diceva anche Cristina Donà in un’intervista che ho letto. La gente considera difficili certe cose che non sono difficili; semplicemente, non sono precotte, preconfezionate e non sono facilissime all’ascolto. Ma negli ultimi vent’anni c’è stata veramente una disabitudine progressiva. E questa cosa purtroppo si paga e lo sto vedendo adesso. Non nei nostri confronti, per carità, a noi va anche troppo bene. La si paga a livello proprio di situazioni, di qualità generale nel mondo dell’arte e nel mondo della musica in particolare.

L: A proposito di Giorgio, nei crediti del disco ci sono tre bambini con lo stesso cognome: Ciccarelli. Sono tutti figli suoi?

M: Sì sì, son tutti figli suoi.
L: Ne ha tre o ne ha di più?
M: No no, ne ha tre. Ora si è fermato a tre, ma non si sa mai, perchè è una macchina per bambini.
L: Beh, se per il prossimo album vi serve un’altra voce di bimbo, ditegli che lo metta in cantiere a questo punto, visto che sono ufficialmente dentro alla band!
M: Ottimo! Ottimo! (ride)

L: Perchè il sottotitolo de “La tempesta è in arrivo” è ‘Anastasia Romanov muore aggrappata alle tende’?
M: Perchè in realtà il pezzo era fatto su quei cambiamenti che arrivano anche se non li determiniamo noi, sono quelli che ci mettono di fronte a tutta l’arroganza che abbiamo nel considerarci in controllo degli eventi, nel pensare di avere il controllo sulla nostra vita, sulla storia, sugli eventi per determinare la storia. Poi arrivano dei cambiamenti che sono delle vere e proprie tempeste che ti fanno perdere tutto quello in cui credevi, ti fanno perdere i tuoi punti di riferimento, tutte le tue forze. E’ un po’ il periodo che stiamo vivendo anche adesso se ci pensi, a livello economico soprattutto, ma anche a livello sociale e a livello politico. Anastasia Romanov era una delle figlie dello Zar Nicola II il cui impero è stato spazzato via dalla rivoluzione di ottobre in maniera abbastanza violenta, e quindi il paragone storico è quello della volgarità che arriva a prendere il sopravvento su cose che sono esistite da millenni e che in realtà avevano dato al mondo una visione e dei punti di riferimento, negativi o positivi. Ma dando una stabilità. E queste cose sono state spazzate via.

L: I messaggi promozionali. Una bella ironia. A proposito del messaggio n°2 ho letto che avevate ipotizzato di istituire realmente un numero da chiamare per ‘vendere gli spazi pubblicitari’, però avevate un po’ paura della gente. In che senso?
M: Allora, la cosa principale non era tanto la gente. Era che temevamo questa cosa qua cannibalizzasse il resto del disco. Cioè diventasse troppo interessante, troppo centrale e che quindi si parlasse più di quella come un’operazione furbesca.
L: Di marketing anche?
M: Mah, marketing speravamo di no, un po’ di paura c’era anche in quello, la gente ultimamente non ha dimostrato tantissimo senso dello humour e, devo dire la verità, è una malattia che abbiamo molto in questo paese. Che è un po’ la cultura del sospetto. Cioè ogni cosa che fai prima di tutto deve avere qualcosa di sporco dietro; se poi riesci a dimostrare che non è così, allora le cose funzionano. E noi siamo stati vittime di questo tipo di situazioni anche da parte dei nostri fan, tantissime volte. In occasioni magari dove era anche legittimo farsi qualche domanda, tipo quando siamo andati a Sanremo. Ma anche in altre occasioni dove in realtà la legittimità di certe domande deriva più veramente dal malessere che le persone vivono e da questa cultura del sospetto. Perchè quando fai delle cose di beneficenza piuttosto che quando fai dei concerti dove non prendi una lira, anzi ce ne perdi anche, e arrivi a capire che la gente dubita della tua buona fede, soprattutto la  gente che ti segue, allora è chiaro che le palle ti vanno sotto i talloni, scusa il francesismo. Per cui è logico che è vero che ci siamo presi paura ad andare fino in fondo con la storia del messaggio promozionale perchè sapevamo che una larga parte delle persone non avrebbe capito. Non avrebbe capito e l’avrebbe presa per una roba seria, che era anche parte della provocazione. Però il fatto di dover spiegare poi questa cosa e di passare MESI a sostenere il peso di questa provocazione e quindi le polemiche e le discussioni, avrebbe ucciso il disco, avrebbe ucciso tutto il resto del disco. Avrebbe ucciso il senso del lavoro.
L: Si sarebbe parlato solo di quello… Avrebbe focalizzato l’attenzione.

M: Soprattutto di quello. E non avevamo nessuna voglia di arrivare a dare tutto il materiale per il rancore e la rabbia di alcuni personaggi. Non ce ne fregava niente, per cui l’abbiamo lasciato a livello di scherzo e pace.
Intendo puntualizzare che è chiaro che non pensiamo che la maggior parte della gente che ci segue sia così, anzi, è una minoranza e anche piuttosto esigua che spesso non ci da fiducia, polemizza a tutti i costi, però è una minoranza molto rumorosa, che proprio perchè ha bisogno di avere quel tipo di atteggiamento lì lo fa, si fa sentire, è il ribellismo tipico per dimostrare che non sei un fan prono. Ma a me non me ne frega niente. Se il gruppo ti fa schifo e io ti sto sui coglioni non me ne frega assolutamente niente. Sono desideri delle persone, sono necessità loro. E in questo caso non volevamo dare la nostra salute mentale in pasto a gente così.
L: Vi mantenete integri per gli altri fan, va benissimo.
M: Esatto!

L: Hai nominato Sanremo, per la proprietà transitiva ti faccio una domanda sulla televisione. Il primo messaggio promozionale sembra uno spot negativo ad essa, contro la tv. La guardi?
M: No, non la guardo più da quasi quattro anni ormai. Diciamo che ogni tanto per far vedere i cartoni animati a mia figlia e ogni tanto dei documentari, ma non guardo più neanche la tv di informazione, i telegiornali.
L: E che canali scegli per informarti?
M:  I quotidiani soprattutto e anche internet, poi confronto. Però l’approfondimento lo faccio ancora con un mezzo preistorico come quello della carta stampata, dove mi sembra che l’approfondimento sia superiore. C’è lo spazio per una riflessione diversa. Leggere un articolo ti fa riflettere più a lungo, è roba meno masticata e sputata, più ragionata. Io credo ci sia una tendenza anche da parte delle nuove generazioni a tornare ad un certo tipo non di lentezza perchè non si torna mai indietro da quel punto di vista, ma a un certo tipo di profondità di analisi, questo sì. E comunque gli effetti della velocità che anche internet ha  portato negli ultimi tempi non sono del tutto positivi, anzi.
L: Sembra quasi che tutto sia talmente veloce da non riuscire ad assimilare niente. Anche la musica, ne usufruisci in modo veloce, ce n’è tanta e la ascolti per un attimo, non hai quasi mai il tempo di approfondire un ascolto. La comunicazione in qualsiasi campo è diventata iper-veloce.
M: Esatto, ed è un vero peccato perchè si perdono un sacco di cose ma soprattutto si uniforma tantissimo il modo espressivo, per cui alla fine cadono là sempre le stesse cose, perchè son quelle che la gente ascolta. Anche questa storia che l’album era morto… sono tutte cazzate, alla fine la gente ha bisogno di storie complete e profonde, e lo dimostra il fatto che i dischi che sono andati bene ultimamente nel nostro ambiente sono album che sono quasi dei concept alla fine. Per cui sono tutte tendenze che lasciano il tempo che trovano e la verità è che secondo me invece la gente ha bisogno di un altro tipo di… non solo ha bisogno, la gente sta proprio manifestando di avere la voglia di un altro tipo di profondità, di analisi, di approccio. E la crisi ha acuito questo che forse è uno dei lati molto positivi del periodo che stiamo vivendo.
L: Perchè si riprendono un po’ le giuste misure, in qualche modo, in un momento di destabilizzazione…
M: Secondo me sì, secondo me la gente adesso è chiaramente portata a cercare di capire che cosa è veramente importante e soprattutto dove abbiamo sbagliato e cosa ci fa stare male; che sono tutte domande che non ci siamo posti per decenni. Sono tutte cose che sono poi alla base non dico della felicità, perchè per carità è anche troppo grande, ma per lo meno  della consapevolezza, quindi della serenità di una persona nei confronti della vita che sta vivendo. Insomma importanti.

L: Avete lasciato la major e vi siete autoprodotti completamente. La vostra autoproduzione come funziona? Nel senso, avete assimilato dalle esperienze avute con major e ambiente indipendente o vi siete inventati un modo nuovo?
M: Non è un modo nuovo, è che io ho 46 anni, ho fatto esperienze in campo discografico di tutti i tipi. Quando avevo 21 anni ho  aperto la mia prima etichetta indipendente ed ero io che andavo a ritirare gli scatoloni dei dischi stampati, a fare le lacche per i vinili alla Phonoprint a Milano, piuttosto che a confezionare le copertine… cioè tutte cose fatte a mano… Portavo ai distributori porta a porta, litigavo su che musica dovevano prendere. Sono tutte cose che io ormai ho nel dna, la nostra generazione ha dovuto diventare un po’ manager di se stessi, produttori di se stessi… Tutti siamo così. I Subsonica sono così, i Marlene erano così. Poi ognuno ha scelto delle cose diverse sulla propria strada. I Subsonica una specie di via di mezzo, i Marlene invece hanno appunto firmato tanti anni fa con una major e hanno scelto di seguire semplicemente una via totalmente artistica, totalmente musicale. Per come l’ho fatto io, mi son sempre trovato scomodo quando altre persone investivano i loro soldi nei miei progetti e io dovevo poi rendere conto a loro di questa cosa. Ci sono state situazioni completamente diverse… con la Mescal i primi anni è stato meraviglioso, e poi però purtroppo i nodi vengono al pettine, quindi non è finita molto bene. Con le major è stato sicuramente peggio, perchè le major anche se vogliono dare tanta disponibilità, non sono in grado di dartela proprio strutturalmente, son delle catene di montaggio.
E poi la nostra scelta non è stata “Siamo più bravi di tutti e quindi lavoriamo meglio da soli”; la nostra scelta è stata “Lavoriamo meglio da soli, perchè sappiamo che SU DI NOI possiamo fare meglio degli altri”. Per cui non è stata la negazione delle strutture “le major non servono a niente, le case discografiche non servono a niente”. Le major non servono a niente con NOI, col nostro progetto, ma non direi mai ad un gruppo di esordienti di non firmare un contratto discografico, perchè chi non ha l’esperienza che abbiamo noi non riesce ad organizzarsi in un album, la promozione, la distribuzione, etc etc per cui direi loro di affidarsi a delle strutture.
L: Quindi una scelta di libertà.
M: Sì, una scelta di libertà, di consapevolezza, anche dei nostri mezzi dal punto di vista strutturale. Conoscevamo tantissime persone con le quali abbiamo già lavorato, che alla fine sono le migliori nel loro ambiente, quindi perchè non lavorarci direttamente?
L: E avete già idea di produrre qualcun’altro?

M: No, perchè non è un’etichetta la Germi; è un marchio. Quindi in realtà è un marchio che esiste da un sacco di tempo e abbiamo deciso di utilizzarlo per il disco nostro. Ma non abbiamo intenzione di ampliarlo. Anche perchè è una cosa che io ho  già fatto in passato e prende tantissime energie e te le porta via da altre parti. Poi sinceramente in questo momento è da tanto che personalmente non faccio neanche più produzioni artistiche. Da tanto, un po’ perchè non sento cose…
L: Con chi hai fatto l’ultima?
M: Oddio. Penso che fosse Marco Parente con “Trasparente”. Diciamo che nei gruppi che ho ascoltato adesso che mi emozionano riconosco una grande maturità e quindi il mio ruolo sarebbe inutile praticamente, e cose che invece avrebbero bisogno sinceramente non mi emozionano tanto come quando ho ascoltato la prima volta Cristina Donà, o i Verdena, o i Massimo Volume, o Marco Parente appunto.
L: Facci qualche nome di quei gruppi che ritieni apprezzabili e a cui non serve la tua assistenza artistica.

M: Beh, Vasco Brondi sicuramente è una persona che ultimamente ha con grande sincerità raccontato le sue storie, con grande coraggio, il coraggio di essere eccessivo, il coraggio di essere estremo, il coraggio di raccontare delle storie molto intime. Quindi cose che magari poi, sai, sono facili da prendere in giro, però nello stesso tempo poi mancano e sono quelle che poi ti emozionano di più proprio perchè sono le cose più profonde. Ci sono un sacco di gruppi che fanno ironia in Italia, ma non abbiamo bisogno di quello, siamo tutti dei comici alla fine. Quello di cui c’è davvero bisogno è di parlare con grande sincerità delle cose pù profonde; lui questa sincerità e questo coraggio ce li ha.
E poi Il Teatro degli Orrori sicuramente sono un punto di riferimento ed era abbastanza che se ne cercava uno. Poi ci sono i grandi vecchi che a me continuano a emozionare, per cui basti pensare a Parente, Cesare Basile che sta facendo delle cose molto belle e per lo più sconosciute purtroppo, ma son veramente molto molto molto belle.

(Do un’occhiata all’orario e mi accorgo di essere al telefono da più di mezz’ora)
L: Ehm… Avvisami se devi andare, perchè io ho un milione di domande…
M: Io purtroppo ho in coda delle altre interviste e quindi non vorrei metterti fretta… Però ho paura che… Mi lincino gli altri! (ride)
L: (rido) Ok, allora accelero.

L: Avete idea di collaborare con altri gruppi o siete focalizzati esclusivamente su “Padania” per il momento?
M: Allora, questa formazione qua è veramente una formazione molto stimolante, stiamo benissimo anche a livello personale, è un momento magico da questo punto di vista, quindi ce lo vogliamo godere senza tante distrazioni. Che poi, comunque ci sono perchè sia Xabier, che Roberto, che Rodrigo hanno mille collaborazioni in giro…
L: Infatti sembrate tutti dei prezzemolini, non si riesce a seguirvi facilmente…
M: Alla fine noi facciamo tante cose e non tutte finiscono sui giornali; sinceramente è anche la libertà che un progetto come gli After ci da. E’ un progetto molto caratterizzato, che abbiamo voluto caratterizzare così tanto, quindi che ha uno, due, tre caratteri al massimo e sono quelli: facciamo rock’n’roll. Però poi ci possiamo prendere la libertà di andare a fare quello che vogliamo. Io con Damo Suzuki o con Mina, per prenderti due estremi molto diversi tra loro, ed è  la libertà che possiamo avere perchè come musicisti vogliamo suonare con tutti. Io voglio suonare tutto con tutti il più possibile.

L: Nei credits c’è il ringraziamento anche a “I’m with the band”, il fanclub che avete organizzato. Vi ha dato una mano per finanziare anche il disco?
M: E’ stato fatto anche per questo, insieme ad altre cose, perchè chiaramente noi abbiamo bisogno di auto finanziarci, quindi è logico che dobbiamo andare a trovare i soldi che altrimenti arriverebbero da una casa discografica. Il fan club è una parte minima, non perchè voglio sminuirne l’importanza che è fondamentale, a livello economico è una parte minima di questo finanziamento, quindi non è determinante la parte economica. Secondo me è più determinante il fatto che riusciamo ad avere un tipo di rapporto diverso con alcune persone, che è leggermente meno superficiale del firmare gli autografi dopo il concerto, stringersi la mano…
L: O fare le foto?
M: O fare le foto, che è una cosa che tra l’altro sto rifiutando sempre di più. Piuttosto sto a parlare un quarto d’ora con ciascuno di quelli che vengono dietro le transenne. Mi sembra più umano, più produttivo, più bello.
L: Beh, è più uno scambio…
M: Sì, anche se è uno scambio superficiale, anche se non è che possiamo conoscerci in cinque minuti, però la verità è che almeno è una cosa più umana. E fai conto che, paradossalmente, perché chiaramente molti l’hanno criticato perché “Questi, chi si credono di essere”, in realtà il fan club è un tentativo di avere un  tipo di contatto con le persone che sia un po’ meno superficiale, di divertirsi un po’ di più, e poi anche di metterci un po’ alla prova nel rapporto verso l’esterno, nel cercare di capire che cosa arriva, che cosa non arriva, come arriva. Fermo restando che comunque anche il rapporto pratico non è indifferente eh, perchè anche quello fa. Il fatto che ci siano delle economie che noi andiamo a ricercarci all’interno delle attività che facciamo è anche coerente con quello che vogliamo essere, no?Completamente indipendenti dal sistema, insomma. Dal sistema discografico, intendo. Non voglio fare l’utopista diciottenne.

L: Una cosa molto importante. Durante il live leggi l’agenda rossa di Borsellino. Questo testimonia ancora una volta che siete impegnati dal punto di vista dei messaggi, dell’interessamento sociale e civile. Da poco abbiamo saputo che in occasione del vostro concerto a Ferrara rinuncerete al vostro cachet, assieme a tutta la crew, per aiutare la ricostruzione.
M: Sì, aiutare la ricostruzione per dare un segnale. Perchè i soldi che noi riusciremo a tirare su anche se il concerto andrà benissimo, comunque all’interno di quello che serve per la ricostruzione sono veramente delle briciole. Me ne sono reso conto a L’Aquila, quando abbiamo raccolto questo milione e duecentomila euro con “Domani”; alla fine quella cifra, se tu focalizzi un obiettivo possono essere tanti, cioè per il conservatorio sono tanti soldi,  ma se li butti su un cavalcavia, visto che comunque è necessario tanto quanto, o un ospedale, sono bruscolini, una stupidaggine. Per cui sai, diciamo che lo scopo economico c’è fino ad un certo punto. L’importante è dare dei segnali, morali e personali. Non lasciare le persone al proprio destino, non lasciarle sole, non farle sentire abbandonate e non dimenticarle.

L: C’è  uno strumento che si chiama “insetti” nel libretto…
M: Sì. (ride) In realtà volevo prima usare dei nastri con questi suoni amplificati di insetti, ma i rumori di fondo erano talmente grandi, che alla fine ho rimediato cercando di imitare quei suoni suonando chitarra filtrata attraverso due o tre pedali molto molto particolari. Poi ho scritto insetti, ma in realtà non sono insetti. La verità è che è la chitarra. Era la chitarra che cercava di fare quei suoni… anche se poi… lasciamo perdere. (ride)

L: Il prossimo videoclip lo avete già deciso?
M: No, sinceramente siamo fuori dalla logica del far uscire il singolo col videoclip e anche questa volta abbiamo fatto un videoclip molto “streets” per “Padania”, dopo averne fatto invece uno super patinato per la colonna sonora di Faccia d’angelo e quindi siamo fuori dalla logica che ci dev’essere il singolo col videoclip etc etc. Quando ci verranno delle buone idee o qualcuno ce le farà avere faremo un videoclip indipendendemente dal fatto che ci sia un singolo fuori, o ci sia un pezzo che può essere efficace.
L: E’ la forza del poter essere assolutamente liberi ed indipendenti, no?
M: E anche il volere non uniformarsi agli standard di certe televisioni, che hanno fatto sì che in questi anni purtroppo i clip si assomigliassero tutti, avessero tutti come caratteristica principale il dover essere costosi, e super-patinati a livello di fotografia, e siamo tornati a fare delle cose che invece possono fare anche i ragazzini con la loro telecamerina digitale e che son anche le cose più divertenti per noi, sinceramente.

(Io, memore di una chiacchiera di un loro post concerto)
L: Ultimissima domanda. Ascolti ancora i Wall of voodoo?
M: Certo!

L: Allora… Grazie mille intanto.
M: Figurati.
L: Spero di non essermi dilungata eccessivamente… (ridacchio, sapendo di averlo fatto)
M: (ridendo) Te lo diranno gli altri che devono telefonarmi adesso! (ridacchia pure lui)

-Seguono ipotetiche ma molto probabili minacce di coloro che lo dovevano chiamare dopo di me.-

a cura di Luisa Vedovato

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=0Vxbt3zRqoY[/youtube]

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Articoli correlati