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Interviste

Intervista ad ALESSANDRO RAINA (Amor Fou)

Ci sono quelle interviste fatte di domanda e risposta, colme di informazioni ma povere di profondità e poi ci sono le chiacchierate, quell’ incontro tra due persone che hanno davvero qualcosa da raccontarsi reciprocamente, in cui c’è davvero poco di definito, ruoli compresi: questo è ciò che è avvenuto incontrando Alessandro Raina, voce degli Amor Fou.
Sono arrivata all’incontro senza domande e con poche linee guida in testa, consapevole che non le avrei seguite.
Le idee e le sensazioni sono scivolate libere tra parole e silenzi ed è per questo che riporto integralmente il flusso dei pensieri e degli scambi.

A cura di Azzurra Funari.

Ti hanno fatto tante interviste sulle differenze tra il primo, il secondo e il terzo disco. Io invece volevo chiederti qual è il filo conduttore dei tre dischi.
Il filo conduttore credo che sia cercare di capire ogni volta cosa manca al disco precedente, al progetto. Il nostro è nato molto estemporaneamente, quindi ogni disco è stato un po’ il frutto di quello che gli Amor Fou erano in quel momento, a seconda dei componenti: infatti il primo disco è fatto da un organico per metà diverso dal secondo e da questo.
Io penso che ogni disco abbia una sua forza e una sua “limitatezza” nell’essere profondamente influenzato da qualcosa che si voleva essere in quel preciso istante, dal non avere l’identità di band a prescindere dal disco; tant’è che tutti i nostri dischi sono dei concept, ci siamo sempre molto poggiati a un lato concettuale, forse anche per capire cosa erano gli amor fou, che musica suonavano, che stile avessero e probabilmente quest’ultimo disco ha spiazzato anche perché suona ancora molto diverso dagli altri anche se poi certe peculiarità restano. Poi sicuramente mi auto smentirò come sempre, però credo che questo disco sia quello che più si avvicina ad avere un’identità di gruppo: questo non significa che l’abbiamo trovata ma che è meno frutto di una serie di pippe, con cui abbiamo sovraccaricato i dischi precedenti a livello contenutistico, di citazioni, di stile, per quanto anche questo abbia uno stile preciso. Questo è stato un disco in cui abbiamo provato a cominciare a fare più musica e meno ragionamenti.

Per quanto riguarda il modo di scrivere il disco: i brani, gli argomenti sono una riproposizione di concetti che voi avete sempre trattato. Le tematiche sono sempre le stesse ma il taglio è diverso, avete utilizzato un nuovo codice e si sente, però il timbro, la firma è sempre la stessa. Perciò ti volevo chiedere a cosa ti ispiri.
Io ho sempre pensato che i primi album degli Amor Fou dovessero avere una sorta di continuum nel rappresentare dei periodi storici, per cui abbiamo cercato di raccontare le stesse cose attraverso varie generazioni. Fare questo pensando ai giovani era il passo più difficile perché il rischio è quello di essere vecchi e di avere un punto di vista ancora più giudicante di prima. Così come era ancora più rischioso guardale le cose con gli occhi di persone 10-15 anni più piccole di te per quanto queste persone possano esserti accanto nelle varie situazioni della vita.
Io credo che in questo disco gli argomenti non è che siano stati ridimensionati ma il modo di fare arrivare le cose, specie negli ultimi brani, parte da presupposti diversi da un modo diverso di pensare al linguaggio.

A che brani ti riferisci?
Per esempio “Italia”, ma anche la stessa “Alì”, “I volantini di scientology” un po’ meno perché in realtà non è uno degli ultimi, la stessa “Gli zombie nel video di thriller” sono pezzi che hanno influenze che si possono individuare facilmente però sono brani scritti cercando di parlare ad un livello diverso: né troppo alto né troppo basso e comunque non “cattedrattico” e non necessariamente legato a delle fonti senza le quali tu non puoi capire fino in fondo cosa diciamo. Mentre prima c’era il cinema, la letteratura, che era una sorta di corredo adesso c’è il parlare della “Primavera araba”, delle persone che ti circondano nelle tua città ora e non di quanto il passato fosse più bello… Ora c’è semplicemente cercare di ritrarre, con il proprio metro, le cose che ti passano davanti tutti i giorni: questo per me è stato un grosso cambiamento che è iniziato e continuerà ancora per molto tanto; è un cambiamento che sta entrando anche nelle canzoni che sto scrivendo per gli altri. Per assurdo nello stile di questo disco per me è stato più illuminante leggere i testi di alcuni artisti dell’hip pop piuttosto che i cantautori o anche i musicisti della nostra stessa area che sono sempre molto legati ad una sorta di cristallizzazione del passato anche nel linguaggio e nello stile musicale.
Per esempio un disco come quello dei cani mi è servito molto soprattutto nei testi per accettare definitivamente che bisogna avere il coraggio di ritornare a parlare di quello che ti circonda, ma di quello che circonda te in primis, non solo di quello che c’è nella società astratta.

Però anche in questo disco quando scrivi dei brani come “I 400 colpi” o “Goodbye Lenin” ci sono sempre riferimenti a quello che è il cinema o comunque a personaggi della letteratura come in brani vecchi.
Si hai ragione ma ti dico che hai beccato i due brani più vecchi. Cioè “I 400 colpi” è stato scritto appena dopo l’uscita dei moralisti quindi è il pezzo del disco che non fa parte di questo disco ed è stato inserito perché ci sembrava un pezzo forte e sarà anche un singolo probabilmente. Questo brano è l’esempio di quello che è stata la mia scrittura fino ad un anno fa e non a caso ha quel titolo.
“Goodbye Lenin” è un momento di passaggio perché è nato come un brano con un mood molto simile a quello del ritornello che a me non piace, infatti non l’avrei neppure inserito: il ritornello è vagamente baustelliano e io non volevo che ci fosse la minima traccia di Baustelle in questo disco perché non doveva suonare così. La strofa era già un tentativo di andare verso la disco, verso degli eclettismi, per noi molto trasgressivi, rispetto a quello che era stato il dna degli Amor Fou.
Forse questa eterogenicità ha aiutato una parte degli ascoltatori a non essere completamente spiazziati nel trovarsi di fronte ad una band che li stava quasi tradendo. Mettere un brano come “I 400 colpi” credo sia stato come buttare un’ancora per molti nostri fan sfegatati della nostra componente malinconica, colta e forse li ha aiutati ad accettare un po’ di più che le stesse cose le potessimo fare in un modo completamente diverso.

Sì, ma suona in maniera completamente diversa. Cioè quando lo ascolti hai la netta percezione di come le cose non siano per niente cambiate. È cambiato il codice ma ….
E non devono nemmeno cambiare, l’anima di ogni musicista resta quella.
È stato bello soprattutto per alcuni di noi che attraverso questo disco sono andati a riconfrontarsi con certe cose che erano state messe da parte per molti anni. Tipo Leziero non faceva elettronica credo da più di 10 anni perché con i La Crus avevano iniziato a  produrre cose in ambito acustico. Però lui nasce producer, lui nasce come dj in un mondo vicino ai rave e all’elettronica pura degli anni novanta. Questo disco lo ha fatto riconciliare con il suo dna quasi più forte di quello cantatorale.
Nel mio caso c’è stato in primis un lavoro di autocritica e di messa in discussione di tanti presupposti linguistici, nel caso di Giuliano c’è stato il dover metter in discussione la sua idea di chitarra tanto che in molti brani suona le tastiere, il live adesso è in 5 per cui c’è un elemento che ha dato un apporto incredibile e ci dispiace non aver potutto coinvolgerlo nel disco perché non lo conoscevamo ancora. Quindi …

Quindi anche una dimensione live che suona diversa …
Si molto diversa…più coinvolgente, più immediato e per noi più godibile e quindi credo che lo sia anche per il pubblico.

Quindi mi stai dicendo che stasera sentirò i brani in maniera diversa da come li ho sentiti a “Le Mura”?
Totalmente diversi. Alle mura li hai sentiti acustici, non c’erano gli arrangiamenti precisi su queste canzoni, stasera senti un live con 5 musicisti dove ci sono molte tastiere, dove c’è una ritmica trascinante. Il disco è molto ritmico e questa è una differenza enorme rispetto agli altri che lavoravano più sulle profondità dei suoni e sulle atmosfere. Dunque questo è un disco che se funziona ti deve dare una pulsione costante in contrapposizione alla profondità dei testi o ai temi delle tastiere.

La cosa bella è che il brano, sentito in acustico, ti fa apprezzare diverse cose quando poi lo senti nel disco in cui c’è l’arrangiamento sotto apprezzi altre cose pur rendendoti conto che sono molto vicini.
Si ma lo scheletro è quello, infatti io questo disco sono riuscito a suonarlo quasi tutto prima chitarra e voce mentre per gli altri è sempre stato molto difficile farlo. Sembra quasi assurdo perché sembravano più canzoni quelle ma erano molto più dipendenti dagli arrangiamenti per quanto usassimo tantissimi strumenti acustici nei dischi. Qui invece proprio per questa ricerca dell’essenzialità, che può essere arricchita con l’arrangiamento, la canzone è nata già con una sua identità così come le melodie vocali … che non hanno più bisogno necessariamente di una serie di arrangiamenti, di incastri: per risaltare infatti in questo live la voce è anche un suono molto prodotto e ci siamo diverti ad usare la voce non solo come narrazione.
Io credo che il bello e allo stesso tempo la cosa difficile degli Amor Fou è che sono sempre in evoluzione rispetto ad un centro fisso e questo in Italia non accade spesso. Ci sono infatti gruppi che hanno una loro identità e se la portano dietro per 5 o 6 dischi in modo altalenante e se da un lato può essere figo perché tu sai che il teatro degli orrori è quella roba lì e sarà sempre quella roba lì, noi abbiamo spesso mescolato le carte e questo ha allontanato una parte delle persone che rifiutano il passatismo e la canzone d’autore e adesso sentendo i synth, sentendo le casse dritte, si sono sentiti un po’ traditi …

Però accompagna anche nell’evoluzione ..
Io spero sempre che uno poi sia curioso per quanto poi un gruppo debba avere una identità.
Anche i gruppi più eclettici, anche Beck che ha fatto 20 dischi diversi lo senti subito che è Beck. Noi siamo stati per un po’ vicino ai Tiromancino, per un po’ ai La Crus, per un po’ ai Baustelle… sarebbe bello che diventassimo gli Amor Fou…

Un’altra cosa che mi ha colpito è la dimensione in cui tu scrivi le canzoni. Sono canzoni che parlano di te, che parlano di Milano come raramente siamo abituati a vederla cioè con gli occhi di chi ci sta dentro soprattutto in questo disco in cui ti sei messo in gioco in prima persona e poi le rapporti ad una situazione generale di stato Italia, di mondo, di globalizzazione. Cioè parti con un elemento e poi lo trasporti a tutto ma perché è proprio la situazione generale che ci sta portando in questa direzione?
Io credo che questo sia un disco in cui mi sono posto molto la responsabilità di scrivere le canzoni per le quali ho sentito il dovere di non accantonare la possibilità che il cantautore ha di avere un occhio che può esprimersi, che può dire la sua e quindi ho continuato ad attingere molto dalla cronaca e da quello che succedeva, anche a livello mondiale per portarlo all’attenzione della gente in un modo più immediato.
Questo è sicuramente il mio biglietto da visita con cui ho iniziato a scrivere canzoni. Con il senno di poi è un biglietto da visita che in futuro dovrò avere la forza di mettere in discussione perché la musica non è solo militanza, non è solo analisi… Per me lo è stato perché forse in quello mi sentivo forte e mi sentivo di poter fare delle cose credibili anche perché mi ero stancato delle canzoni d’amore e della malinconia: però credo che questo con il tempo possa diventare una zavorra e la mia possa essere una visione del mondo un po’ greve. Quindi credo che ognuno di noi debba capire quanto deve prendere sul serio certe cose, quanto ne deve fare l’argomento principale della sua vita e quanto ritrovare certi aspetti più normali e quotidiani.
Bisogna perciò capire se certi aspetti debbano essere inseriti in una canzone e se vale la pena scrivere altre canzoni. Io questo progetto l’ho sempre visto come figlio del momento senza pensare che gli amor fou faranno sempre musica, sempre dischi e al di là che questo disco mi abbia esaurito particolarmente di energie credo che sia la chiusura di una fase, proprio del modo di guardare le cose.
La tua identità resterà sempre però, per quanto mi rendevo conto che nel disco facevo dei passi grandi in merito al modo di descrivere certe cose, adesso non farei più un disco così e comunque non farei più un disco con l’attitudine dei primi tre.

Ancora evoluzione…
Ma magari un domani fare un disco sui problemi che hai con te stesso sarà un disco di evoluzione anche se magari parli di cose di cui hanno già parlato miliardi di autori. Oppure non necessariamente pensare di fare un disco perché hai la missione di divulgare qualcosa. Poi è chiaro che se ti viene bene e lo fai in modo spontaneo è una figata ed è questo che mi piace molto del disco dei cani: è un trattato di sociologia contemporanea però a me sembra scritto di pancia, di getto, senza troppo lavoro dietro, senza preoccuparsi che le canzoni siano tutte uguali. Io invece ho sempre avuto una soglia di attenzione altissima, una necessità di mantenere il controllo di tutti gli step molto alto quindi ancora sento che tante cose che scrivo sono troppo pensate e probabilmente questo è stato un mio limite di comunicazione verso il pubblico.
Quindi adesso per capire come fare a non pensare troppo avrò bisogno di fermarmi un po’ e poi di trovare altri modi.

Da questo punto di vista sembra che l’esperienza in africa ti abbia alleggerito. Normalmente chi torna dall’africa ha pensieri più profondi, ha una necessità di introspezione, mentre tu sei tornato alleggerito.
Purtroppo io la voglia di guardarmi dentro ce l’ho dalla nascita per cui l’Africa è stata la prima vacanza vera che ho fatto in 6 anni. Il primo mese della mia vita in cui non ho dovuto pensare alla musica, non ho dovuto vivere in funzione di quello che faccio, non ho dovuto essere qualcuno perché su facebook qualcuno mi scriveva. Io credo che sia stata anche una esperienza a posteriori di grande frattura nel senso che all’inizio ho vissuto quasi solo il beneficio di questo mese paradisiaco pur non essendo in un posto paradisiaco: poi, tornando in un mondo in cui i parametri sono esattamente all’opposto, parametri ai quali io mi sono sempre adeguato, mi ha dato uno scoppio ritardato. Non ho capito subito il messaggio che mi aveva dato questo viaggio, questo momento di rottura, perché quando sono tornato ho immediatamente ripreso a spingere sull’acceleratore.

Ma già lì, con quello che scrivevi nei report.
Si ma avveniva in un modo diverso, alle 6 del mattino, sotto una veranda e non in una stanza con il computer e 20 finestre aperte, avevo solo una chiavetta che forse restava connessa per 20 minuti e dovevo condensare tutto.

Era molto flusso di coscienza
Si, si anche perché poi erano delle giornate pienissime e dovevo condensarle in tre paragrafi. Quel viaggio lì è servito stupidamente alla gente a vedere che io non vivevo su un trespolo a pensare, vestito di grigio a pensare ai massimi sistemi …

Cosa che può sembrare …
Assolutamente ma per molti anni è stata l’immagine che ho proiettato fuori soprattutto per quelli che non mi hanno frequentato di persona, perché io da quell’immagine  mi sentivo protetto.
Questo viaggio qui ha sicuramente dato un messaggio forte che io ho colto adesso perché l’onda lunga di quel momento lì si è ripresentata una volta finito il disco … ho capito che la vita è quella là, mi sono detto “devi riuscire a fare quello che fai ma inserendola in quel contesto lì, quella cosa lì non deve essere l’eccezione nella tua vita altrimenti impazzisci”. Adesso il mio interesse è trasportare il mio stile di vita, per la prima volta in 10 anni, su dei canoni dove puoi fare tutto perché puoi scrivere e usare il cervello in mille modi ma con delle scale di importanza diverse.
In questo Milano non aiuta infatti per un po’ mi staccherò da lì perché non è una città che ti offre grandi alternative …. Anch’io sono curioso di sapere cosa verrà fuori dopo perché adesso comincio a vedere gli effetti delle cose che ho iniziato a scrivere per gli altri.

Cosa stai scrivendo?
La prima cosa che uscirà mia è un singolo di Malika Ayane (“Tre Cose”) e poi ho scritto delle altre cose che probabilmente finiranno nell’ambito degli interpreti. Sto notando che senza avere l’etichetta del cantautore da rispettare vengono fuori delle cose che sono ancora più vere, ancora più mie in quei testi.

Pare tu ti senta più libero quando non ti mostri
Si e questa può essere un’esperienza per capire come esprimersi negli Amor Fou o che il modo di esprimersi degli Amor Fou per me si è un po’ esaurito…però, grazie al cielo, gli Amor Fou sono una band e quindi è possibile che il prossimo disco che faremo avrà ancora una consistenza, dal punto di vista sonoro, nell’uso dell’elettronica e il testo avrà un ruolo diverso, non dico ridimensionato però ripensato. Ti faccio un esempio il brano che abbiamo inciso per la compilation di tributo agli “Altro” che è appena uscito, dove noi interpretiamo il brano di questo gruppo punk potrebbe essere una traccia di cose che potrebbero uscire in futuro. Quindi con un taglio di produzione molto diverso, molto spinto, anche moderno e una voce che è quasi uno strumento aggiunto. Io sinceramente mi sono anche un po’ stufato di pensare troppo… al di là del fatto che uno ci nasce e non smetterà mai.
Io mi sono stancato di fare dischi che riflettano immediatamente l’idea di una persona completamente concentrata a pensare, ad analizzare, anche se poi i frutti sono molto belli …. Credo che sia qualcosa che fa parte di un discorso esistenziale.
Ho anche pensato al fatto che quasi tutti i gruppi che mi piacciono verso i 40 anni hanno smesso di fare dischi interessanti perché magari hanno scoperto che c’era anche la vita … il che è bellissimo!
Non bisogna vivere solo in funzione dell’ispirazione o di quello che è stato un momento.

Anche solo il fatto di non esserci legato è tanto
Certo. Adesso ad esempio scrivere per altri è molto più affine a come mi sento io: non sovraespormi, non salire sul palco necessariamente, non usare la mia voce, non usare la mia fatica necessariamente però contribuire a creare delle canzoni che arrivino a più persone possibili e non lesinando un linguaggio, uno stile che sia troppo personale. Scrivere delle canzoni impegnate nell’ambito alternativo è normale, cercare di rompere il fronte della banalità se qualcuno dà fiducia ad un nuovo autore è molto interessante perché la canzone arriva a centinaia di migliaia di persone e qualcosa di più lascia rispetto ad un disco indie, pieno di belle recensioni.

Per quanto riguarda l’argomento amore, per quanto voi siate gli amor fou, l’hai veramente toccato pochissimo. A parte strofe o parole o mezze frasi…
Ma quasi solo nel primo disco!!!!!

Nel primo disco con brani interamente dedicati, negli altri ci sono solo frasi in brani che parlano di politica o di storia. Poter leggere qualcosa di tuo a riguardo sarebbe veramente molto bello.
Io credo che le cose che usciranno in futuro, se usciranno, metteranno in mostra questa cosa qua. Forse per scrivere delle cose completamente staccate da questa sorta di patina ricercata con sotto la mia faccia ..non sono ancora pronto ma lo sarò presto!
È una fase che è già iniziata ma non poteva venire fuori in questo disco perché questo disco doveva essere un’altra cosa però ci sarà, se non per me per gli altri.

È come se in un certo senso tu quando scrivi lo tocchi quell’argomento ma non ci vai mai dentro fino in fondo. Forse perché il fatto di doverti esporre in prima persona e raccontarlo ti mette in una situazione un po’ ….
Io sono molto onesto. Banalmente quello su cui la mia vita si è basata in questi ultimi anni non è stato l’amore. La mia vita é stata una tensione continua, pensavo a cosa dovesse essere un artista in un mondo e in paese alla deriva, cosa dovesse dire, quanto credibile dovesse essere.
Portare avanti un progetto è una cosa molto interessante che spesso la gente non riesce a cogliere nei suoi presupposti e giudica una persona in base a quello che gli arriva in mano senza chiedersi il perché un progetto ha una connotazione così forte. Io ti posso dire che a volte non hai il tempo di fare altro oltre a quello, non hai né il tempo né l’energia per fare altro. Non è un caso se io ho fatto un solo viaggio in 5 anni perché i concerti, produrre i dischi e risparmiare, promuovere 250 giorni all’anno in giro ….
Ogni momento di umanizzazione è stato messo da parte per sacrificarlo in favore di un continuo slancio creativo ideale: probabilmente io ci sono proprio finito dentro a questa cosa che da un lato è nobile perché non mi sembra che siano tutti così disposti ad ammalarsi di impegno, dall’altro è anche pericolosa e non è detto che sia il modo migliore per portare avanti tutte le istanze; quindi è ovvio che in questi dischi ci siano state cose che erano la mia ragione di vita, che io volevo assolutamente dire e per farlo ero proprio io ad avere un atteggiamento mentale che non era compatibile con l’amore. Era piuttosto un amore per l’arte, per la vita, per il mondo, per i luoghi. Per cui credo che in tutte le cose che ho scritto, non solo musicali, si sia sempre sentita una passione però è evidentissimo che l’amore non è stato protagonista nel mio mondo interiore  e se lo è stato era una mancanza. Non essendo però uno che si piange addosso non ho mai sentito il bisogno di vagheggiare il fatto che io avessi tante cose della mia vita che andavano bene ma non quella affettiva.
Ad un certo punto devi fare delle scelte o farti delle domande, prima di arrivare a fare un disco dove questi elementi hanno più peso, dovrò capire perché non hanno avuto peso ..

Deve ricominciare la fase introspettiva
Però stavolta non sarà una fase introspettiva autoriferita, sarà una fase di confronto, di psicoterapia, di dialogo maggiore con le persone, anche di confronto intimo però molto più aperto e questo forse ho iniziato già a farlo con il viaggio in Africa: mostrare il più di me. È qualcosa che deve andare molto più a fondo e non può essere solo correlato alla musica e quindi il viaggio dovrà essere sia fisco che mentale.

Stiamo facendo un viaggio alla ricerca dell’anima degli Amor Fou
Sia dell’anima che di una nuova stabilità. Non si ha proprio il tempo materiale per fare un bilancio per te stesso; io sento di aver dato tantissimo negli ultimi 5 – 6 anni e che ci sono delle fasi. Adesso sento di dover voltare pagina.
Ora stiamo portando avanti delle cose che stanno avendo anche degli ottimi riscontri però credo anche che questo disco abbia introdotto una nuova fase di vita…

A questo punto spengo il registratore e con lui il riflettore sulle ultime battute tra me e Alessandro che poco hanno a che fare con la dimensione pubblica.
Saluto Alessandro e lo ringrazio per averci permesso, attraverso questo viaggio nella profondità della sua anima, di conoscere colori e suoni della sua personalità diversi rispetto a ciò che lo proteggevano fino ad ora.

a cura di Azzurra Funari

[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=cltcclJ_MM4[/youtube]

 

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