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Gojira – L’Enfant Sauvage

2012 - Roadrunner
death/metal

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Tracklist

1. Explosia
2. L'Enfant Sauvage
3. The Axe
4. Liquid Fire
5. The Wild Healer
6. Planned Obsolescence
7. Mouth Of Kala
8. The Gift Of Guilt
9. Pain Is A Master
10. Born In Winter
11. The Fall
12. This Emptiness (Special Edition Bonus Track)
13. My Last Creation (Special Edition Bonus Track)

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Dopo quattro anni di letargo dal precedente “The Way of all Flesh”, il gargantuesco Gojira riemerge finalmente dalle viscere della terra e come un novello Chtulhu, è pronto a sferrare il suo ultimo (ma speriamo di no) attacco alla Terra.

Fautori di un death metal di classe dalle tinte progressive e intellettuali, i quattro di Bayonne raccolgono costantemente proseliti da ogni parte del globo, grazie ad uno stile personalissimo che riempie di emozioni ancestrali i loro dedali sonori senza via di uscita.
Nominando i Gojira si parla inevitabilmente di un’evoluzione musicale e lirica iniziata con i primissimi “The Link” e “Terra Incognita”, opere in cui l’ombra dei maestri Morbid Angel era ben ammantata su questi giovani selvaggi, sempre contraddistinti da un’anima thrash quasi indecifrabile, pregnante di groove e radicata nel desiderio di rinnovarsi. In seguito con “From Mars to Sirius”, decisero di staccarsi dall’oscurità terrena per varcare i confini della stratosfera, cominciando così la loro corsa verso gli estremi dell’universo.
Dalla disperazione solitaria dello spazio ovattato e senza stelle, tornarono poi coi piedi sulla terra per mostrare a tutti “The Way of all Flesh”, un vero e proprio Leviatano capace di fagocitare il vuoto stesso, grazie a un insieme di melodie vorticanti e tempestose come gli anelli di Saturno.

Ora, con L’Enfant Sauvage ci troviamo dinanzi al ragazzo che si è fatto uomo, maturato al punto tale che sentiamo la forza della sicurezza adulta congiunta a un certo animo sognatore, mantenuto quasi selvaggio, incontrollabile, sul quale l’impronta della violenza vissuta si marchia a fuoco con la melodia più emozionante.
I ragazzi infatti sono cresciuti e si sente, così come si avverte che il passaggio di etichetta dalla Listenable alla Roadrunner abbia cambiato qualcosa nel meccanismo collaudato dei francesi, qui vicini al limite dell’autocitazionismo anche con una certa programmazione a tavolino, che tuttavia dona all’insieme un’aura organica di sicurezza nei propri mezzi.
Infatti, sebbene apparentemente non ci sia nulla di nuovo sotto la luminosa Sirio, il ragazzo selvaggio del titolo si dimostra una furia dotata di fine intelletto, machiavellica nel perseguire il suo scopo distruttivo dalla prima all’ultima traccia.
Perché crescere significa soprattutto prendere coscienza della sofferenza e nell’Enfant Sauvage, la lacerata disperazione s’incarna perfettamente nel growling teatrale di Duplantier, diventando così un urlo prolungato e primordiale, una straziata manifestazione del desiderio innato di abbracciare e stritolare la vera libertà interiore.
Le songs, benché risultino più lineari e alleggerite da una certa “semplicità” strutturale di fondo, si completano di svariate influenze: il canonico thrash postmoderno fatto di riff ossessivi e caleidoscopici si arricchisce infatti di riverberi industriali e di sonorità avanguardistiche, presenti già sul precedente lavoro ma qui ancor più marcate e volte a garantire un groove sempre presente in ogni traccia.
Grazie anche a una produzione pregiatissima che modella ogni eco, urlo e sussurro, ciascun frammento sonoro ha la sostanza di una piccola galassia desolata, con i suoi pieni e vuoti ragionati e cesellati con minuzia.
L’ascoltatore non corre quindi il rischio di soffocare tra le sottotrame pesantissime e claustrofobiche dei quattro di Bayonne, ma dispone della giusta quantità di ossigeno per fare andata e ritorno da un viaggio visionario, selvaggio e a suo modo sensoriale e allucinogeno, “filmi-chimicamente” paragonabile a una sorta di “Into the Wild” nella distopica Los Angeles di “Blade Runner”.
L’inizio affidato a “Explosia” è puro death metal di classe, scandito da una sessione ritmica feroce e da riff di chitarra tubulari e vorticanti, che si smorzano sul finire della canzone con un’atmosfera da capogiro, una caduta libera nel nero vuoto della vertigine neurologica.
La successiva title-track si caratterizza invece per un incedere disturbante, in cui la pesantezza metallica cresce di pari passo all’inquietudine generata dalle chitarre e dalle urla liberatorie di Duplantier.
Il singer trova la massima espressività nella monolitica “The Axe”, un blocco di granito scolpito riff su riff, mentre in “Liquid Fire” si tramuta in un robot senza emozioni, alternando momenti di rabbia incendiaria ad altri di apatia più liquida: un essere senziente dalla natura corrotta. “Planned Obsolescence” e “Pain is a Master” costituiscono le tracce più pesanti del lotto, in cui gli echi del passato volano sulle ali dei blast-beats più ossessivi a cui seguono invece momenti distensivi e paranoidi, riportando alla memoria i primi album.
“Born in Winter”
è uno strano fenomeno cosmico, dall’inizio ipnotico e pacato, dove i sussurri del singer ritagliano ombre pronte a esplodere come supernove quando il pezzo entra nella seconda metà, detonando in tutta la sofferta lacerazione di un’anima, costretta a vagabondare solitaria su una terra sconosciuta.
Particolare menzione va fatta per “The Guift of Guilt”, a titolo personale la canzone estrema dell’anno, graziata dal suo naturale evolversi distruttivo e malinconico, portatore di una violenza ragionata e non pesante, che si accompagna a quel ritornello da pelle d’oca (seriamente) che lancia un inno da urlare senza riserve.
L’ultima “The Fall” è forse quella meno convincente, tuttavia in essa convergono tutti i vuoti e i pieni di cui abbiamo già parlato, grazie a una sessione ritmica claustrofobica, a urla lanciate ai confini delle stelle che diventano parole sussurrate in totale alienazione.
Per l’edizione speciale abbiamo altre due tracce che non aggiungono nulla alla qualità complessiva del disco: “My Last Creation” è un chiaro omaggio ai Pantera, con quel riff iniziale così simile a quello di “A New Level”, stravolto e in seguito mutilato a gravità zero, mentre “This Emptiness” è un continuo sali e scendi su una scala che poggia nel vuoto assoluto.

L’Enfant Sauvage è un album che colpisce duro ed eviscera l’anima di chi ascolta, e lo fa poco alla volta, ascolto dopo ascolto, in quanto anche se più digeribile rispetto ai precedenti lavori, contiene una profondità rara per un gruppo estremo. Siete pronti a varcare le dimensioni? Dall’altra parte, la stella Gojira risplende nel buio più cieco, e i suoi bagliori vi guideranno alla ricerca della libertà interiore, facendovi passare attraverso gli intricati rami della scoperta del Sé. Non abbiate quindi paura: senza lesinare su dolore e sofferenze, il Leviatano vi affiancherà con esperienza su questo cammino, che probabilmente si rivelerà il più arduo di tutti.
Alla fine però sarete ben ricompensati.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=BGHlZwMYO9g[/youtube]

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