Impatto Sonoro
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WILCO – Gran Teatro Geox, Padova, 10 ottobre 2012

Cominciamo dall’esterno, dalle quattro persone davanti ai cancelli fin dal primo pomeriggio. Facevano quasi tenerezza per il loro attaccamento a un gruppo che se lo nomini al passante per strada perlomeno lo devi ripetere due volte prima dell’inesorabile scossone di testa. Ma tant’é, non basta la maestria nel suonare, l’amore viscerale per la musica, due ore di concerto e sudore, per ricevere il successo che meriterebbero pure qui in Italia.
La gente arriva alla spicciolata e solo a pochi minuti dall’inizio dello show i seggiolini della platea sono quasi tutti occupati. Pare che i posti siano diventati a sedere per la prevendita scarsa. Peccato, peccato essere in pochi a godere degli Wilco. L’interno del Gran Teatro Geox si presenta pulito, asettico, un tendone in bello stile che si rivelerà accettabile per acustica. Iniziano gli Hazey Janes, quattro ragazzini scozzesi per la prima volta in Italia, che riescono a strappare applausi convinti. Si dicono al settimo cielo per essere a supporto della migliore band in circolazione. Altri applausi, stavolta più convinti. Alle 21.30, puntuali, entrano loro. Si parte piano, con la dolcezza di One Sunday Morning. Si notano però degli sguardi lunghi sul palco: preludio di una serata storta? A peggiorare le cose ci si mette una tastiera di Mikael, che non vuol saperne di funzionare, finché un tecnico non interviene a rimuoverla. Ma è Poor Places la chiave di volta: il pubblico si rende conto che è impossibile starsene seduti davanti ai sei venuti da Chicago e abbandona le sedie per accalcarsi sotto il palco (con buona pace dei ragazzi della security che neppure accennano un minimo di reazione). E finalmente Jeff alza lo sguardo e sorride, così è tutt’altra storia: è il momento di Art Of Almost e da lì in poi sarà una cavalcata trionfale fino alla fine. I Might,  At Least…, Handshake Drugs, Wishful Thinking, e poi Nels che si consuma le punte delle dita (e perde il plettro) sull’assolo di Impossible Germany. Jeff sorride sornione. O è forse invidia? A metà spettacolo rientra la tastiera di Mikael e Jeff lo annuncia trionfante al pubblico: c’aveva pure scherzato il povero Mikael, mimando nel vuoto in quei momenti in cui sarebbero serviti dei tasti sotto le sue dita. Si respira tanta allegria sul palco e immensa gratitudine giù in platea. That’s rock, baby! Il caldo del teatro costringe Jeff a levarsi più volte il cappello con la scusa di salutare, scoprendone la chioma brizzolata schiacciata dal sudore. Tutti hanno occhi solo per Jeff, pendono dalle sue labbra. Ma sarebbe un peccato non riuscire a cogliere il lavoro di contrappunto di Pat, che fa di tutto per attirare l’attenzione con le sue pose strampalate e irriverenti. O lo scudiero John, alla sinistra di Jeff, volutamente in primo piano come lui: un posto guadagnato negli anni, per il suo supporto tanto oscuro quanto prezioso. Glenn e Mikael hanno invece il loro momento di massima gloria quando il primo si erge imperioso sulla batteria all’attacco di I’m The Man Who Loves You (facendosi prima pregare dalla chitarra di Jeff) e il secondo salta indemoniato a più riprese sulla sua tastiera. Alla fine i bis saranno due, tanto brevi quanto intensi. Come breve è stato il concerto: due ore non possono bastare per gli Wilco. La gente se ne esce dal teatro come bambini da un luna park: occhi lucidi e sorrisi stampati. Siamo in piena crisi economica, ma stasera sono stati soldi ben spesi.

a cura di Gianpaolo Elena

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