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Interviste

Intervista ai CRTVTR

Abbiamo conosciuto i Cartavetro (CRTVTR per gli amici) un po’ per caso nell’immenso mondo di bandcamp. Incuriositi dalla collaborazione con Mike Watt e dalle poche informazioni reperibili sul web ci siamo avvicinati a Here it comes, Tramontane! (clicca qui per la nostra recensione) e non abbiamo più smesso di ascoltarlo.
Il loro disco è una vera bomba, sicuramente tra le migliori uscite italiane del 2012. Anche se finora l’unica edizione a disposizione è quella stampata dall’etichetta indipendente cinese October Party Records.

A cura di Fabio La Donna.

Avete suonato in giro per tutta l’Europa e, nella vostra “riservatezza 2.0”, lo avete fatto di più di molti gruppi che vengono usualmente pompati e spammati nel mondo del web e più in particolare sui social network. Mike Watt vi stima notevolmente e noi stiamo lui e stimiamo voi. Come ci siete riusciti? Mi piace immaginarvi come contrapposizione ad un mondo immaginario fatto di visite su Youtube e numeri di follower. Numeri con tante cifre ma che tramutati in concretezza spesso danno come risultato uno zero quasi assoluto.
Sarebbe bello se fosse così, se fossimo paladini di qualcosa, e se meritassimo solo per quello di essere ricordati e incensati. Ma la verità è che noi abbiamo sempre cercato di lavorare per il nostro obiettivo ultimo che era portare la nostra musica a quanta più gente possibile, quanto più diversa possibile, nella convinzione un po’ naif che facendo qualcosa di discutibile ma “vero” la gente sarebbe riuscita ad apprezzarlo, anche senza che nessuno prima gli avesse suggerito che eravamo un buon gruppo. Quando parti con un gruppo pensi “vorrei suonare in tutto il mondo” non “vorrei uscire per questa etichetta”, no? Noi ci siamo semplicemente resi conto che potevamo levarci tante soddisfazioni anche senza benedizioni di qualcuno. E poi però capita che incontri su myspace (buonanima) Mike Watt e che gli piace quello che fai, e allora ci credi anche te. E Mike Watt stesso è uno che piace a quelli che non badano troppo alle raccomandazioni, quindi è perfettamente in linea. Non è davvero riservatezza, è solo che cerchiamo di non confondere il mezzo (la rete, i social network, le etichette, l’essere chiaccherati), con l’obiettivo, che è sempre stato suonare cose profondamente nostre per qualcuno di profondamente altro da noi e vedere l’effetto che fa.

Quando vedo la copertina di Here It Comes, Tramontane! mi viene in mente un vento brioso che giunge da lontano e che dona briosità attraverso le vostre canzoni. Come è nato l’artwork?
Ti correggo: quella che avete visto non è la copertina di Here it Comes, Tramontane! ma solo una versione web, o nella migliore delle ipotesi la versione cinese, che è una “beta”, di quello che sarà la versione europea. Abbiamo in mente molti più dettagli per la copertina nuova, è il nostro primo lavoro di lungo respiro, ci teniamo! Il disco è ad oggi inedito in Italia, e ci stiamo lavorando con cura.
In ogni caso, sì. L’illustrazione di LEG (illustratore tarantino che milita anche nei Bogong in action) risponde al titolo: la tramontana, impersonificata in quel mostro di vento là. Pensiamo che il vento descriva molto delle dinamiche compositive del disco: forte poi piano, poi pianissimo, poi fortissimo. Un po’ composizioni in balia del vento, penso. E poi come dice il nostro amico Sceriffo Lobo, Genova è una città fondata sul vento. E se c’è un vento particolarmente genovese, è sicuramente la Tramontana.
Questo spiega il titolo, che spiega l’illustrazione.

Le liriche di Here it comes, Tramontane! su cosa vertono? C’è un filo conduttore? Parlateci di qualche canzone.
Non c’è un vero e proprio filo conduttore anche se alcuni pezzi hanno diversi legami tra di loro. Three Kids in the Woods e In a Box sono legati dal semplice fatto che un tempo erano un pezzo solo. L’originale lo potete sentire sul sito di Brigadisco, in uno split che abbiamo fatto con i Common Deflection Problems. Il titolo dell’originale è Three Guys in a Box, ed è nato da un’improvvisazione fatta a Itri nella sede di Brigadisco. Un condensato di 20 minuti di improvvisazione, durata 9 minuti circa. Ci sembrava avesse armonicamente due anime ben distinte e che una delle due fosse troppo inespressa. Così abbiamo provato a riprendere il materiale da zero e farci dei pezzi diversi. Con il nostro grande senso degli affari abbiamo fatto 2 pezzi quasi della lunghezza dell’originale da solo, così giusto per gradire. Le liriche di questi due pezzi però hanno preso strade molto diverse: Three Kids è un tema un po’ folk, legato a un racconto di infanzia, uno scenario un po’ da Goonies, paure infantili di perdersi in un bosco. E’ il tema del viaggio e dell’avventura sviluppato su una scala minima, personale e ingenua. Ed è anche una storia di amicizia e di condivisione. In a Box, invece parla di alienazione da routine, la vita in una scatola che viviamo tutti i giorni ripetendo gesti che non ci appartengono più. Questo pezzo a livello concettuale fa un po’ da controaltare a The Rental, che invece parla di alienazione in senso identitario: il legame carnale con la terra d’origine (nel testo cito l’Africa che è un luogo reale ma anche la rappresentazione del nostro lato selvaggio), la distanza, essere in un limbo tra casa propria e un luogo che non ci appartiene ancora. Penso sia una condizione che sperimentiamo tutti e che però è particolarmente significativa per chi è costretto a migrare, e quindi seppure tutto è visto in una chiave empatica, è un pezzo più o meno politico. Così come Workers, che parla di morti bianche, morti sul lavoro, ma non ha alcuna pretesa di diventare un inno sindacale, visto che cerca di trattare il tema su un piano emotivo, che per noi è sempre il piano più autentico. E così lasciamo da parte la protesta, per maturare più un senso di orrore e stordimento per questa guerra segreta che ci costa due milioni di vite l’anno, ancora oggi. Un po’ di sana rabbia esistenziale, come da tradizione hardcore fine 80 (se non fosse ormai una parolaccia direi emo), che ci piace tanto. Lazarus banalmente parla di resurrezione, e fa coppia con un altro pezzo che però fa parte dello split con i CDP, ossia We Lie, Will I? Parlano di atmosfere di fine estate, come i pezzi dei Righeira, ma più nervosi. Quella fu un’estate in cui diventai grande. Lazarus inizia impetuoso, poi continua piano in una parte riflessiva, per poi piombare nel silenzio e ripartire con grinta verso il finale. Il testo dice poche cose, in questo caso la narrazione è più lasciata alla musica, come in verità spesso succede nei nostri pezzi. Rimangono solo Piano Piano e Cathode Ray Tube Video Tape Recorder. Tutti e due sono testi di una sola frase, che la logorrea me la tengo per le interviste. Il primo è una nenia che un po’ ironicamente dice che a volte ci si sente artistici e invece si è solo un po’ depressi, o magari si è digerito male. Il secondo non vuol dire un cazzo, semplicemente in inghilterra ci hanno chiesto se CRTVTR sta per quelle cose lì (ossia Tubo Catodico / Registratore a Nastro) e a noi ci è parso divertente.

Il disco dei CRTVTR è disponibile comodamente su bandcamp (http://crtvtr.bandcamp.com/). Come mai avete scelto questo sistema? Uscirà una versione su sopporto fisico(compact disc, vinile, legno intagliato, cadavere scarnificato, ecc)?
Stavamo per partire con il progetto GoToChina e volevamo fare sì che le persone leggessero il progetto e ci dessero una mano, e si interessassero. Così abbiamo pensato di mettere online il disco in ascolto, così da attirare un po’ di amici sul sito per vedere. In questo modo il disco avrebbe dato visibiltà al progetto, e il progetto se fosse andato in porto avrebbe dato visibilità al disco. E ora vedremo se ci abbiamo preso o no. Una prima versione cinese è già uscita in Cina, ed è nel catalogo October Party Records, l’etichetta dei SUBS, che sono il principale gruppo post-hc cinese. Sono cose belle da dire no? Ora stiamo preparando la prima tiratura italiana/europea e sarà sia su cd che su vinile. Abbiamo una serie di etichette nostre affezionate che ci aiuteranno a coprodurlo, e poi ci concentreremo per vedere di ristamparlo anche fuori dall’europa, così possiamo andare a fare altri tour pazzi. Nel mezzo faremo un po’ di date in Italia, o almeno questa è l’idea per la stagione 2012/2013.

CRTVTRgotoCHINA è un progetto atto alla scoperta di nuovi orizzonti musicali lontani dal nostro. La Cina, una nazione in febbrile crescita ma che sembra ancora un mondo immaginario e antico per noi occidentali. Come è nata l’idea di creare il progetto e incentrarlo sulla Cina?
Un po’ perché bisogna sfruttare le occasioni che capitano, e a noi è capitata questa. E poi perché siamo eccitabili quando si parla di tour come avventura totale. Ci affascina quello che non conosciamo, e probabilmente anche non sapere come le persone reagiranno a un nostro concerto. Ci carica molto. E poi questa cosa di fare percorsi nuovi e periferici esercita su noi tre un fascino particolare, siamo fatti così…non saprei spiegarlo diversamente.
Da un punto di vista intellettuale la Cina poi ci incuriosiva perché per quanto abbia un potere economico ormai secondo a nessuno, è ancora molto isolata e ritirata su se stessa. E poi è ricca di contraddizioni con la sua tensione al progresso e la sua anima antica e rurale, la sua storia ricchissima e il suo mito dell’ipersviluppo, la sua iconografia socialista e il suo ipercapitalismo neocorporativo. Poi via via che ci siamo avvicinati, abbiamo scoperto tutte le cose che nel nostro eurocentrismo ignoriamo: la scena musicale in grande crescita, la cina musicale cosmopolita, le etichette internazionali…la sensazione crescente che i nostri mondi siano destinati a un incontro costante, e a noi è piaciuta l’idea di metterlo su un piano musicale DIY e puzzolente.

Il vostro progetto è stato finanziato tramite crowdfunding(persone che utilizzano il proprio denaro in comune per sostenere gli sforzi di persone ed organizzazioni). Siete soddisfatti di come si è svolta questa raccolta fondi? Se non erro avete “tirato su” più di mille euro.
Siamo soddisfatti per il fatto che abbiamo sentito tanto affetto, tante persone hanno dato una mano, anche solo condividendo o parlandone, e diverse persone anche a noi sconosciute hanno messo soldi. E poi siamo soddisfatti perché il crowdfunding spinge i gruppi a lavorare con una certa progettualità, e questo se fatto bene ti porta a incrociare anche mondi diversi da quello esclusivamente musicale. Per esempio per il documentario ci daranno una mano anche partner semi istituzionali com la Genova Film Commission, e abbiamo attirato l’interesse di enti pubblici, etichette discografiche australiane (Tenzenmen, che distribuisce gli Zu in Australia, tanto per dirne uno), e incuriosito anche un’etichetta genovese come The Prisoner, che pur venendo da produzioni musicali abbastanza diverse da noi, e da un lavoro principalmente discografico, ci ha dato una grossa mano per produrre il documentario che sarà. Insomma questo approccio se seguito bene, dà molti più risultati del semplice denaro che incassi, e questo per la rete di relazioni che coinvolge.

Avete avuto modo di conoscere un po’ della “scena” indipendente cinese? Consigliateci qualche gruppo! Quali altri progetti avete in mente di creare a riguardo nel prossimo futuro?
Il nostro booking era Kang Mao, la cantante dei SUBS, che come ho detto sono un gruppo underground molto importante in Cina. A Pechino poi abbiamo anche incontrato Nevin, un ragazzo americano che lavora là per la principale etichetta underground cinese, la Maybe Mars, che produce gruppi di ambito hardcore e indie (in senso ottantiano). Partirei sicuramente da qui. Senza dimenticarsi degli Smegma Riot, forse la principale connessione tra l’Italia e la Cina a livello musicale: un gruppo di italiani residenti in Cina che si è fatto largo a botte di live estremi, tutto documentato da documentari e libri. Il nostro progetto è quello di far diventare il sito www.crtvtrgotochina.com, nel periodo che va da ora alla fine della preparazione del documentario, un punto di riferimento per fare sentire un po’ di gruppi e di storie underground cinesi agli italiani. Si è anche parlato di fare uno split con un gruppo cinese, su 7″, con Nevin, e speriamo che tutto vada in porto, e magari di diventare un punto di riferimento per i gruppi cinesi che volessero tentare la via italiana come noi abbiamo tentato quella cinese.

Non ve l’abbiamo ancora chiesto, ma…il tour in Cina come è andato? Avete dato fuoco alle chitarre come discutevate nelle prove tecniche di documentario?
Non è stato spettacolare come auspicavamo ma ognuno a suo tempo abbiamo tutti rotto un mucchio di cose. Io la chitarra elettrica il primo giorno: eccesso di punk rock e manico spezzato. la seconda chitarra elettrica aveva un ponte meraviglioso che mi ha tagliato 6 corde in 7 concerti. Fabio il bassista ha rotto una corda al secondo pezzo di un concerto, non aveva ricambio e ha suonato tutto con una corda in meno: Eroe. Pier, il fotografo/videomaker ha rotto un’obiettivo cascando dalle scale a Shangai durante un concerto. Dei tizi cinesi su un banchetto/laboratorio in un grande magazzino di tecnologie varie da tutte le epoche, glielo hanno riparato per pochi yuan. Storia vera! Joe ha rotto quintalate di bacchette e gli ultimi giorni, preso dalla disperazione, suonava avvolgendo le bacchette nello scotch da idraulica. Non male no?
A parte queste storie drammatiche, è stato un tour splendido, uno dei migliori della nostra vita. Con un’ottima media di persone sotto il palco, molto partecipi, che hanno ancora voglia di schitarrate in faccia, e che ti vengono ad abbracciare anche se sei sudato marcio. I Cinesi sono calorosissimi, non si può immaginare quanto…

Qual è la maglietta più imbarazzante (e quindi la migliore) che avete mai visto ad un vostro concerto?
Una qualsiasi mia o di joe: tanto sudate da pesare il quadruplo. Oppure su un treno un bambino aveva una maglia del Live Aid tarocca con errori di ortografia su ogni parola: jzazz, punck e cose del genere.

Intervista finita…a parte diventare i prossimi segretari generali del Partito Comunista Cinese, quali sono i vostri programmi? Concerti? Eventi? Altre mirabolanti avventure in esoteriche capitali mondiali?
Senza mai dimenticare che per noi liguri non c’è niente di più esotico ed estraniante della nebbia in val padana, cercheremo l’ignoto che sta vicino a noi, provando a suonare in ogni luogo dello stivale in cui ci daranno qualche presa elettrica e il permesso di fare un po’ di rumore. C’è ancora tanto bisogno di volumi irragionevolmente alti, in questo mondo, e ancora di più in questo paese. Poi ci sarà il documentario da presentare e distribuire, e questo per noi è un esperimento del tutto nuovo ma in cui crediamo tantissimo. E poi niente, vediamo. Di certo in Cina ci vogliamo tornare, anche perché il nostro tour manager Ma, Kang Mao, il suo fidanzato, e Nevin ci mancano già. Però il mondo è così grosso…vedremo le occasioni che si presenteranno e non diremo mai di no se qualcuno ci invita a fare qualche giro pazzo.

a cura di Fabio La Donna

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