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Interviste

Leonard e La Piccola Morte: intervista a MIRO SASSOLINI e MONICA MATTICOLI

Da qui a domani narra la storia di Leonard e parla d’amore e di vita, tratteggia l’eros, dice il perdersi, il trovarsi. È, in poche parole, la storia di tante persone, di tanti uomini. Una storia scritta dal punto di vista femminile di Monica Matticoli appositamente per un uomo, per Miro Sassolini.

Miro, Monica: avete lavorato sulla differenza o sull’attraversamento di genere? Lungo una distanza fissa da subire lungo la retta che congiunge l’identità maschile e femminile oppure dentro una differenza asimmetrica?
Il nostro è un progetto simmetrico perché dentro ad ogni suo punto, o passaggio, ammette un altro simmetrico nella sua naturale evoluzione. Quindi componiamo più rotazioni rispetto al nostro stesso centro (ego) e liberiamo lo spazio necessario, indispensabile per stabilire un punto d’incontro con l’altro. Non necessariamente al centro. (Miro)
Attraversare il genere è per me attraversare la differenza. Se pensi che la differenza di genere è la differenza di base dell’umanità, quella su cui si strutturano tutte le altre, ti rendi conto di quanto l’essere soggetti sessuati, in altre parole l’identità di genere (semplifico molto, che il discorso è tanto più complesso), sia inscindibile dal “chi” entra in relazione con “l’altro da sé”. Da questa prospettiva la relazione, se è ricerca autentica dell’incontro, non è mai asimmetrica e sempre si svolge sulla distanza: «io amo a te» scrive Luce Irigaray, e in quella «a» segna l’irriducibile distanza-differenza che sta fra me e te; è da quella distanza (simmetrica, se vuoi) che posso riconoscerti come soggetto separato da me e non come proiezione di me o del mio desiderio. Questo è quello che ci interessava esplorare e non le relazioni inautentiche, in-sane, cha fagocitano l’altro dentro di noi desoggettivizzandolo e annullandolo e che definirei, per usare la tua proposta, asimmetriche. (Monica)

Il disco è un dialogo aperto tra la voce narrante, un uomo, e chi è in qualche modo narrato, una donna. Nel vostro lavoro la donna non è solo il riflesso di un monologo, l’altro che manca, ma è interlocutrice presente e viva che, scrivendo, ha lasciato un pezzetto della propria voce, di “chi” è, e della propria storia, in quella di Leonard-Miro.
Cambiando, con molta probabilità, il senso di alcuni versi contenuti in Astral Weeks di Van Morrison, Da qui a domani appare un concept che racconta anche l’opposizione tra “l’amore che ama amare”, Leonard, e “l’amore che ama”, Petite mort. Tra il sentimento ripetitivo che ossessivamente guarda nello specchio un’immaginaria immagine, come fosse mitologia, una copia di una copia, e quello dialogico e concreto all’interno di carnalità e di una progettualità in divenire e che rappresenta la differenza. Miro, vuoi dirci qualcosa in proposito?

All’inizio della storia Leonard è simmetrico nella sua natura e asimmetrico nella sua struttura. Trascende se stesso, vive di riflesso una vita forse altrui. Deve imparare a rivedere la propria storia in termini di ruoli, identità, scelte e responsabilità coerentemente col suo essere “soggetto”; deve arrivare a trasformare le relazioni e, di conseguenza, se non il mondo, almeno la propria esistenza.
Poetico e affascinante, triste e sincero, Leonard ci porta lungo vicende che corrono, s’intrecciano, si riempiono d’affetto, d’odio, di stupore, delusione e rinascita ma lavorano per incastrarsi in una conclusione “naturale”.
La dimensione carnale e quella spirituale, oltre chiaramente a quella relazionale, rappresentano le tre dinamiche fondamentali attorno alle quali si gioca la ricerca di identità del protagonista di Da qui a domani. Il gioco dei desideri che mutano di fronte al procedere imprevedibile dell’esistenza conduce ad un finale in sospesione che lascia un retrogusto forse amaro ma salvifico, se si accetta l’ineluttabilità del tempo che trans-corre, che ci scorre attraverso, e che fa invecchiare.

Monica, Miro: l’atto creativo è un atto d’amore?
Assolutamente sì. Amore (sano) per sé, per la ricerca, per la trasmissione, per le relazioni che necessariamente creiamo al di fuori di noi e che ci conducono nella dimensione del cambiamento. L’atto creativo sta nella zona del «mettere al mondo il mondo»: in altre parole ha a che vedere, a mio parere, con la tensione a cambiare un pezzetto di sé, di sé nel mondo e, perché no, un pezzetto di mondo tout court. (Monica)
L’atto d’amore è un atto creativo. (Miro)

Le figure di Angelo Gambetta, fotografo ufficiale e autore del booklet inserito nel CD, in quale modo si inseriscono nel linguaggio e nel significato di questo disco-progetto? Miro, Angelo: ce ne parlate?
Il compito di Angelo nel progetto è tradurre le canzoni in altrettante immagini fotografiche che rappresentino in maniera decontestualizzata il percorso interiore del protagonista del concept: sebbene queste immagini non rappresentino un motivo ricorrente scritto espressamente nei testi, risuonano per contiguità emozionale con essi. (Miro)
Le foto scelte per il booklet sono il risultato di un ottimo lavoro di squadra. Come fotografo, ho proposto degli scatti che dessero forma figurativa ai testi delle canzoni, che avessero un senso non astratto ma che interpretassero in qualche modo la creatività artistica di questo nobile progetto creando una liaison quasi amorosa tra poesia, musica e immagine. (Angelo)

Monica, Miro: in quale modo la lingua del suono racconta Leonard?
Nella misura in cui l’immagine sonora è “costruita” con lo scopo di rimandare altre immagini: visive, sensoriali, emozionali. Leonard non parla mediante una sequenza di slogan e nemmeno dipana un curriculum esistenziale ma restituisce frammenti di esperienza che alludono al processo mediante il quale sono stati creati: in altre parole, ripropongono il metodo che abbiamo usato per scrivere le canzoni del disco. Tali frammenti o immagini, come ci piace chiamarli, sono migrati da chi scrive a chi crea melodia a chi mette in musica a chi “vede” per arrivare infine a chi ascolta. Migrando, hanno preso un po’ di Monica, un po’ di Miro, un po’ di Federico e di Cristiano di Angelo di Daniele: mi viene in mente una polla sorgiva, la cui acqua ha viaggiato nella terra arricchendosi via via di principi nurtitivi e minerali. E se migrare vuol dire lasciare il luogo da cui si proviene per stanziarsi, seppure temporaneamente, altrove, la lingua del suono racconta Leonard nella misura in cui chi ascolta può entrare in relazione coi protagonisti della storia narrata e riconoscervisi, anche per scarto e differenza. (Monica)
Nella misura in cui il canto (suono) amplifica il significato delle parole, lenisce il dolore del protagonista, ne esalta la rinascita, ne manipola ogni volta la struttura facendola risuonare, e sempre in maniera diversa. In più, il canto divarica la scrittura e l’uso del linguaggio, ne assume i connotati, si prende la responsabilità di far emergere le emozioni. Nel gioco della narrazione, esso s’insinua nella sintassi e conduce la sequenza delle parole verso la fine dell’esplorazione. (Miro)

L’artista visivo Daniele Vergni, in occasione del Da qui a domani Tour, entra nel progetto S.M.S. anche come musicista elettronico. Se le sue scenografie virtuali evocano un effetto ottico in cui le distanze di genere si annullano, la sua rilettura sonora del disco apporta differenza specifica. In quale modo, Daniele, hai dialogato con il sound di questa storia visivamente e musicalmente?
Il primo approccio con Da qui a domani è stato sicuramente visivo, avendo curato la silloge video non sull’interpretazione di questi brani ma su una restituzione sinestetica tra ritmo e colore. Nel tour l’immagine video diviene interattiva e soprattutto s’innesta sulla rilettura sonora che ho realizzato partendo dalle basi. È stato un processo continuo deviato da intuizioni e trasformazioni: l’evoluzione musicale e quella dei video riletti e rieffettati si è in quache modo auto realizzata, senza prevedere un punto ben preciso ma una sinergia tra media differenti.

Daniele e Miro: quale diversità avete percepito tra lo studio album e il live?
Parlerei più di differenza, di uno scarto che si è venuto a relizzare pur mantenendo un tono intimistico. Forse l’effetto sorpresa è proprio questo, mantenere un tono intimistico attraverso un sound più graffiante e d’impatto. (Daniele)
In studio possono nascere nuove idee come quando una band prova diverse soluzioni nella struttura dei brani.
Il live, sfruttando il suo caratteristico flusso ininterrotto di possibilità di (ri)combinazione, diventa una forma di comunicazione flessibile che stimola le singole creatività, anche al di là delle esperienze musicali o tecniche.
La creatività nei live è sempre stimolata da processi di azione-reazione: si tratta quasi di un videogioco con un alto coefficiente di interattività. Non dimentichiamoci mai che suonare è un po’ come giocare. (Miro)

La specificità di questo progetto è quella di trasformare continuamente il “prodotto”, è l’esplorazione dei confini fra vari linguaggi artistici che permettono di raccontare in modi difformi un’unica storia. Fermo restando che il fulcro del processo resta il canto di Miro, in futuro pensate sia possibile partire da una parola che sia solamente suono? Non narrazione in parola che si trasforma in canto ma canto che diviene “narrazione onomatopeica”? Miro, Monica: che ne pensate?
Una parola all’interno di un sistema linguistico, e come tale “composta” da un significato, viene mediata solitamente dal significato stesso: se tale mediazione è assente non si tratta più di una parola ma della trascrizione di un suono. La trascrizione fonica deve essere comunque codificata mediante un sistema linguistico. Le parole che hanno l’unica funzione di evocare l’impressione di un suono, quelle non portatrici di un proprio significato, non le reputo “musicali”: quindi, non m’interessano. (Miro)
La dimensione che m’interessa esplorare è quella della musicalità dentro il linguaggio – fermo restando, e semplifico ancora molto, che esso è struttura che mi/ci attraversa, per dirla con Lacan, e di cui sperimentiamo ogni istante quanto le dimensioni che di esso possediamo siano limitate, ci appartengano per sprazzi e intermittenze. Esplorare lo scarto fra la forma storica e antropologica della lingua, dei generi, della parola altrui, e il mio idioletto, passami la parola, e farlo non in una masturbazione ma in una relazione sessuata in cui la parola e la carne che la pronunzia svelano, anzi meglio sarebbe dire costruiscono, il “terzo”, la relazione, è fonte continua di sorpresa, è scoperta continua cui non rinuncerei per niente al mondo. (Monica)

Video Live registrato durante la data del tour “Da Qui A Domani” @ Arteria , Bologna.
Directed by Giulia Delprato
Live Audio Recording Giovanni Reggiani
Il brano è contenuto nel cd “Da Qui A Domani” pubblicato da Black Fading Records e distribuito da Audioglobe.

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