Se decidi di intitolare il tuo secondo album “Discorocksupersexypowerfunky” una buona dose di follia ce la devi per forza avere (il che non necessariamente è un male). Ancora di più quando affermi di ispirarti a mostri sacri come Stevie Wonder, James Brown, Lionel Richie e Jamiroquai (?) e non contento aggiungi di voler colmare lo spazio vuoto lasciato in Italia da veri e propri “riferimenti” come Pino Daniele e Zucchero.
A questo punto sarebbe logico aspettarsi un album frizzante e in un certo senso rivoluzionario, oppure una sonora presa di giro. Onde evitare l’innesco di mirabili aspettative, diciamo subito che con questo suo secondo lavoro Gianni Resta non riesce a centrare né il primo bersaglio, né il più geniale secondo.
Il sound di “Discorocksupersexypowerfunky” (titolo che eviterò con cura di ripetere per tutto il resto della recensione) non ha niente a che vedere con la black music a cui il buon Resta si vorrebbe lodevolmente ispirare, piuttosto si culla tra le tiepide, italiche onde di un funky orecchiabile, canticchiabile (“Dancing like a fool”) a tratti anche divertente (“Autommobele”), ma notevolmente smacchiato dai suoi connotati radicali ed artistici.
Insomma: tu mi dici black e io ti rispondo white, tu scimmiotti Zucchero e a me vengono in mente Elio e le Storie Tese, tu mi parli di funk, soul e di cultura afro-americana e io non posso fare a meno di pensare “Vorrei la pelle nera….ma son nato in Italì…”
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