Loro sono strumentisti, di quelli buoni, che di così buoni in giro non ce n’è mica tanti, e le parole le affidano a chi meglio li rappresenta, da pezzo a pezzo, senza pregiudizi, ma con un’idea ben chiara in testa. Che poi le prendano da un film o da un passo della Bibbia non cambia molto, l’importante in fondo è mandare un messaggio.
E il messaggio è pesante, che a schierarsi fino a questo punto, in Italia, al giorno d’oggi non ci si mettono mica in tanti.
Loro prendono in prestito voci, il cui apice è nel primo pezzo, “Sangue”, con l’interpretazione (c’è da aggiungerlo magnifica?) di Gian Maria Volontè nel film Giordano Bruno, perché forse parte del messaggio è che tutto è già stato detto, basterebbe solo ascoltare.
“Chiedere a chi ha il potere di riformare il potere? Che ingenuità!” non è un concetto difficile, o nuovo, o chissà cosa. Però loro lo ricordano, lo ridicono, si sa mai che siamo in grado si sentirlo.
Tutto è perfettamente in linea senza che manchi qualcosa, o ci sia qualcosa in più: la musica, i suoni, i silenzi, le parole e le atmosfere; le collaborazioni, che ogni tanto c’è qualcosa che arriva, che sia un fiato o un violino, la scelta dei testi e delle voci recitanti.
Non ci sono pezzi migliori di altri, dipende tutto da cosa si sta cercando e da cosa si è disposti a trovare: in tutti però il livello musicale è davvero altissimo, dura ma pulita, confusa ma lineare, travolgente ed alienante al tempo stesso. Splendidi.
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