Che Zona Mc sia un personaggio a sé stante e del tutto fuori target rispetto alla scena italiana lo si può intuire già dal sito internet, dove capeggia il messaggio “No, non è un problema della tua connessione o del browser… il mio sito è proprio cosi” ad auto ironizzare su un lay out (volutamente) fermo al Web 0,5.0, e dalla discografia / linkografia in free download al 100% e che vede l’esordio nel 2007 con “Ogni volta che bestemmi cade una stellina emo”, seguito dalla doppietta 2008 di “Quello rotto” e “Ananke” e da quella 2009 con “Zona Mc scopre il silenzio dopo 24.000 taci” e “Breakhop” (2009), infine due anni sabbatici prima di “Caosmo” (2011), ovvero l’album che lo ha reso “celebre”…
Un ulteriore biennio ed ecco questo nuovo “Scrivere col sangue”, un lavoro che se da un lato conferma il talento e l’estro lirico del rapper romagnolo, dall’altro evidenzia una notevole, oltre che piacevole e convincente, discontinuità sonora rispetto al passato, con basi meno uochitokesche e più eterogenee, canoniche e con rimandi tanto alla vecchia scuola italica del tipo Frankie Hi-Nrg Mc in “Odissea di Ulisse pensionato di Bellaria” quanto a situe più internazionali e (semi-)cool come gli echi KilltheVulturesiani di “Monomortologo”.
Oramai Zona Mc non è più una sorpresa, per lo meno per il sottoscritto. Piuttosto quello che non riesco a spiegarmi è come in Italia – alla stregua di altri personaggi quali Murubutu, giusto per citarne uno – non sia ancora riuscito a ritagliarsi lo spazio che merita, sia in valore assoluto sia rispetto alla stereotipata scena italiana, stracolma di nerboruti palestrati, tatuati ed ego&figa – centrici. Zona infatti sa scrivere e questa suo settimo album ne è ulteriore riprova e testimonianza. Ma che il titolo non tragga in inganno: non siamo di fronte ad un lavoro sanguinolento, truce e carnale; qui il plasma, oltre che metaforico, è metafisico e definibile come quel liquido cerebrale generatore di pensieri, emozioni e che permette a tutto il sistema Uomo di funzionare, di andare avanti, di evolversi. Le trame lessicali mantengono l’oramai tipico stile intellettualoide e bergonzonesco, anche se in questo caso più alla portata dell’ascoltatore medio, e con la consueta vocazione story rapping che porta Zona a raccontare sempre e comunque qualche cosa, appoggiandosi tanto ad esperienze personali e/o quotidiane quanto ad avvenimenti e/o personaggi storici.
In conclusione, se cercate machismo ed autoreferenzialità avete sbagliato galassia. Se invece avete tempo e voglia di perdervi nei meandri del rapper romagnolo, questo è il lavoro ideale su cui cimentarsi grazie alla maggiore accessibilità sonora rispetto al passato ed ai contenuti sempre importanti (tanto che se Zona ricevesse un compenso per ogni clic generato di Google o Wikipedia sarebbe quanto meno benestante…) e stimolanti.
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