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Interviste

Intervista agli INFECTION CODE

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Gli Infection Code sono la definizione di un dolore sonoro che da 15 anni semina terrore tra concerti claustrofobici e dischi che prendono forma al limitare del concetto di “post” e ben al di là di quello di “rumore”. Dopo “Fine”, loro ultima fatica incisa, li attende un nuovo inizio, tra passato presente e futuro un’unica certezza: l’attitudine.

Partiamo dal presupposto, assolutamente reale, che non sia semplice inquadrarvi come band. Cosa sono gli Infection Code nel 2013?
Non essere allineati è sempre stata la nostra prerogativa. Il nostro fine ed il nostro mezzo. Mezzo per fare sempre ciò che ci è passato per la testa ed il cuore. Ciò che siamo ora è il risultato di questi quindici anni di vita. Quindici anni di sperimentazione e ricerca scavando nel profondo di generi musicali che hanno sempre solleticato la nostra creatività e curiosità artistica. Siamo il risultato di quindici anni di passione, sacrificio, lotta ed anche un sana dose d’odio. Tutto questo convogliato nel rumore, miglior mezzo artistico per esprimere determinati sentimenti ed emozioni. Nel 2013 siamo sempre noi stessi. Come lo eravamo nel secolo scorso. La storia si ripete.

Ogni vostro lavoro sembra portarvi sempre più a fondo nella “descrizione” di un dolore radicato tra gli esseri umani, da cosa traete ispirazione per tessere le fila di questi sentimenti?
Non puoi non essere non ispirato quando vivi in mezzo agli essere umani e quando tu stesso sei un essere umano. Ed a volte ti fai schifo. Ed a volte ti odi. Tante volte prevale uno spirito di conservazione che ti fa odiare solo la stupidità e l’ignoranza dell’uomo, rendendoti invisibile e sopra le parti allo squallore quotidiano. Prendiamo ispirazione dalla vita vissuta. Anche nei momenti più insignificanti atti alla sopravivenza di un uomo, puoi trovare un senso profondo di ispirazione artistica. La vita è il luogo più ameno ed infelice dove vivere. Siamo alla ricerca di altri luoghi, e la nostra musica è il veicolo che ci potrebbe trasportare in questi luoghi. Oscuri a molti, rassicuranti per pochi.

Restando in tema d’ispirazioni, cosa influenza il vostro sound oggi e cosa avete lasciato indietro?
A livello sonoro non ci sono filoni prevalentemente importanti o primari che ci piacciono o che possono influenzarci. Certo all’inizio ascoltavamo metal estremo ed è indubbio che anche solo per un attimo, abbia influenzato le nostre prime canzoni. Ma comunque si trattava sempre di ascolti di una certa valenza artistica. Roba molto underground. Man mano che gli anni passano, s’invecchia ed invecchiando si diventa più selettivi ed anche più stronzi. Ora ascoltiamo poche cose che sentiamo davvero nostre e magari inevitabilmente qualcosa va a toccare le corde dell’ispirazione. Non è più metal estremo come accadeva quando eravamo giovani e spensierati ma sono comunque estremi i rumori e le urla purché siano appassionate e viscerali. A livello concettuale come detto prima, siamo ispirati dalla quotidianità e dalla pochezza emotiva e culturale dell’uomo. Traiamo ispirazione dalla vita e dalle situazioni reali che l’uomo vive senza emozioni.

Come descriveresti il vostro ultimo album “Fine” a qualcuno che, incautamente, si avvicina al vostro lavoro per la prima volta?
Per comprendere appieno “Fine” si dovrebbe conoscere un poco la nostra storia musicale. Solo così si può capire veramente ed a fondo cosa è stato per noi questo album. E’ il risultato di un processo che è iniziato un po’ di tempo fa, una ricerca d’identità sonora ed artistica che nel corso degli anni si è sviluppato intorno al concetto del rumore al servizio del silenzio. “Fine” è una meta. L’ultimo capitolo di un libro che racconta una storia. Lo abbiamo intitolato così perché è una fine, un approdo. Un luogo dove ripartire per fare altre esperienze musicali. “Fine” è al contestualizzazione di un periodo storico, il nostro, carico di tensioni e nevrosi che sono andate a confluire nelle sette canzoni che compongono l’album. “Fine” è la maturazione. E’ l’età della ragione e dell’istinto messi insieme. Siamo riusciti nell’ intento di bilanciare questi due fattori. Ragione ed istinto, musicalmente ci sono parti più meditate grazie all’uso dell’elettronica che ha saputo rendere ed esaltare atmosfere cariche di pathos, contrastate da parti più bastarde come sempre è stato per gli Infection Code. Siamo riusciti a rendere più organico e fluido il nostro spettro sonoro, limando alcuni angoli un po’ spigolosi che cozzavano con la rotondità del suono, valorizzato da un lavoro, in fase di produzione , piuttosto importante. “Fine” è l’ ago della bilancia della nostra storia. Ora inizia una nuova era.

Avete avuto modo di lavorare con produttori del calibro di Billy Anderson, guru della distorsione che ha battezzato gentaglia del calibro di Melvins e Brutal Truth, ed Eraldo Bernocchi, maestro del rumore e della sperimentazione elettronica. Esperienze sicuramente differenti tra loro, cosa vi hanno donato? C’è stata un’interazione diretta con loro?
Fortunatamente nel corso della nostra carriera abbiamo avuto modo d’incontrare persone molto importanti per la nostra crescita artistica che hanno collaborato con noi per passione e perché si è instaurata una certa alchimia artistica. Billy Anderson ed Eraldo Bernocchi fanno parte di questo circolo ristretto. Un ‘elité del rumore, una ‘associazione sovversiva del frastuono, senza dimenticare altri professionisti come Tommy Talamanca dei Sadist e Mattia Cominotto dei Green Fog Studio. Tornando a Billy Anderson ed Eraldo Bernocchi entrambi, ci hanno regalato la loro grande professionalità e versatilità. A livello umano sono due persone diverse, ma con una dote in comune. La passione e la voglia di mettersi in gioco. Lavorare con del nostro materiale non è facile. Loro sono riusciti in modo diverso a vestire le canzoni con l’abito adatto. Con un vestito consono per quel periodo personalizzandolo e caratterizzandolo con le loro magistrali doti artistiche.

Nell’ultimo vostro disco troviamo la cover di “Cupe Vampe” dei C.S.I., perchè proprio questa scelta? Qual è fil rouge che collega gli Infection Code alla formazione di Ferretti e Canali?
Abbiamo sempre amato i C.S.I ed i CCCP fedeli alla linea prima ancora. Abbiamo sempre amato la poetica di Ferretti e la straniante musicalità rumorista di Zamboni, Maroccolo e Canali. Sono una delle band più importanti che la scena rock in Italia abbia avuto, insieme alla scena prog degli anni settanta. Sono stati una bomba ed hanno un po’ destabilizzato il mercato discografico italiano, se pensiamo che “Tabula Rasa Elettrificata” ancora prima di uscire aveva già venduto 50000 copie ed era primo nella charts italiane. Fatto strano per una band con un messaggio non certo facile ed intellettualmente un po’ elitario. Ma erano altri tempi. Che non verranno più. Tornando alla tua domanda, abbiamo scelto “Cupe Vampe” perché a livello lirico si lega a quello che è presente negli altri testi dell’album. Un senso d’ inerme e reale impotenza di fronte alle grandi tragedie che l’umanità ha commesso contro se stessa, ed una di queste è la guerra di religione. Ma mi piaceva anche il senso di riscatto e di epica resistenza che un popolo attua contro il nemico, contro il cattivo di turno. Il testo di “Cupe Vampe” ci ha colpito per il significato storico e sociale. La scelta è ricaduta su “Cupe Vampe” anche per un suo alto significato sonoro. E’ un pezzo che ha un’atmosfera oscura, poco rassicurante, appunto tragica ed abbiamo pensato che stravolgerla e piegarla al nostro rumore avrebbe avuto un ‘atmosfera ancora più tragica. Ci stuzzicava l’idea di prendere un pezzo con pochissima struttura ritmica e basato su strumenti a corda e trasformarlo in un puro concentrato di noise elettronico.

Passiamo alla realtà “dal vivo” del vostro progetto, peraltro una delle più violente e intense che ho avuto modo di sperimentare. Avete condiviso il palco con gruppi d’indiscussa importanza come Cult Of Luna e Indigesti. Quale concerto vi ha lasciato la cicatrice più profonda?
I nostri live sono intensi e violenti. Beh dovrebbe essere così per ogni band che suona rock duro, che sia sperimentale, metal estremo etc. Siamo intensi per una ragione ben precisa. Ci mettiamo passione e crediamo in quello che facciamo. Suoniamo davanti a dieci- quindici persone a volte che sono stranite da quello che facciamo capitare sul palco. E’ quello che vogliamo. Vogliamo che la gente davanti a noi si senta a disagio, si senta non sicura e non assista ad un semplice concerto rock ma bensì ad una catarsi di un ‘entità che si spoglia di ogni tossina e negatività per rinascere pura ed incontaminata. Il live è quasi una necessità fisiologica. Dopo ogni concerto siamo in pace con noi stessi e con il mondo intero, esclusa l’umanità. Non vorrei essere retorico, ma penso che ogni concerto fatto, dallo squat più infimo al locale più alla moda, ci abbia lasciato qualcosa a livello emotivo. Anche condividere le assi con nomi di punta quali Sadist, Ufomammut, Zeni Geva, Extrema e the Ocean ci ha lasciato un bagaglio di emozioni difficilmente dimenticabili.

La più grande paura di chi suona musica indipendente oggi in Italia?
Dipende cosa si vuole ottenere e dove si vuole arrivare. Se ci si prefigge un obbiettivo di successo e visibilità allora non è difficile ma è impossibile sopravvivere artisticamente in Italia. Un paese, il nostro, dove manca una cultura musicale ed artistica. O meglio dove è sparita, perché prima, molti anni fa era viva e vegeta con il movimento prog negli anni settanta per esempio, oppure con la scena hardcore degli anni 80. Non è assolutamente facile rimanere in piedi in una situazione dove manca quasi tutto. Dai locali, alle etichette alle agenzie di booking e soprattutto il pubblico. Su questo ultimo punto manca un sostanzioso ricambio generazionale. Il ragazzino di quindici anni non ha interesse ne la voglia di approfondire un discorso musicale che vada al di là dell’ascolto fugace e superficiale. E poi ci sono troppe uscite e bands che arrivano al fatidico primo album con troppa facilità senza avere un trascorso ed un passato storico che possa aiutare ad una selezione. E’ un assurdo. Ci sono tantissime bands e poco supporto. Poche case discografiche serie, poche agenzie e pochissimi locali che siano interessati alla musica e non al proprio tornaconto personale. E’ una situazione che peggiorerà. Noi resistiamo e lottiamo in questo mare di superficialità perché non ci siamo prefissati nessun obbiettivo se non quello di continuare a dare sfogo alla nostra vena creativa ed emotiva. Quando questa vena s’ essiccherà smetteremo.

La mancanza di una scena, come poteva essere quella hardcore degli anni ’80/’90, ha un peso rilevante nell’emergere, e nel progredire, di certe realtà musicalmente nascoste? O il problema è un altro?
Sostanzialmente la mancanza di una scena deriva anche dal fatto che manca un ‘attitudine come poteva essere quella hardcore degli anni 80 che per modi e per passioni non era seconda a nessuna scena internazionale. Si facevano dischi, organizzavano concerti con una passione smodata e senza secondi fini economici e di visibilità mediatica. Questo perché c’era passione. A volte, oggi, vedo, anche nelle pieghe più underground di un genere, che ci sono tornaconti personali, invidie e favoritismi. Ci si crea un circolo composto da etichetta, qualche bands e locale dove è difficile poter entrare ed interagire. Per assurdo, oggi, con una grave crisi economica che ci colpisce,anche in ambienti più underground, si fa quasi tutto per soldi e quasi nulla per passione o per amore della musica.

Sogno, o incubo, nel cassetto: con chi avreste il desiderio di collaborare un dì o l’altro?
Dopo le esperienze con svariati produttori vorremmo, per il prossimo album, che tra le altre cose, stiamo scrivendo, collaborare in fase di produzione con un’unica persona, facendo registrazioni, mixaggio e mastering. Abbiamo già scelto ed un personaggio e studio con cui abbiamo già collaborato in passato. Se proprio devo rispondere alla domanda ci piacerebbe invece collaborare con altri artisti e band con split, e remix per esempio. Qualcosa si sta muovendo concretamente, infatti a breve uscirà un 12″ split con i Deflore per la Subsound records ed anche a livello di remix stiamo cercando di aprirci a situazioni un po’ diverse. Di recente abbiamo remixato un pezzo degli Aucan che potete trovare sul nostro sito, e in questi giorni abbiamo rimescolato il nostro pezzo forse più rappresentativo “Sweet taste of sickness” trasformandolo in una versione dub noise molto caotica intitolata “Bitter taste of healing”. Abbiamo fatto anche un video per l’occasione che potete vedere sul nostro canale YouTube.

So che di recente avete sostituito un componente della band. Vuoi presentarci il nuovo arrivato? Influirà nei vostri progetti futuri? E già che ci siamo quali saranno?
E’ accaduto in autunno. La stagione dove le foglie cadono ma l’albero rimane ben saldo grazie a radici che penetrano e si alimentano al terreno dell’ispirazione. Tutto è successo in un attimo. Abbiamo trovato il sostituto in Paolo, chitarrista virtuoso e tecnicamente preparato che arriva dalla scuola prog. e nonostante la giovane età vanta collaborazioni con numerosi artisti della scena rock italiana tra cui La locanda delle fate. E’ stata una fortuna trovare una persona disponibile ed interessata a confrontarsi con un realtà musicale differente dal suo background. Questo significa eclettismo, curiosità intellettuale e voglia di mettersi in gioco. Stiamo componendo nuovo materiale per il nuovo album e Paolo collabora attivamente alla stesura dei brani portando , oltre ad una ventata di aria fresca, molte idee diverse che si sposano alla perfezione con la visione globale di sound e struttura che vogliamo raggiungere. Non nascondo che siamo molto contenti nell’aver trovato una persona con un background diverso dal nostro. Sicuramente ci porterà ad esplorare nuovi orizzonti musicali.

Siamo in chiusura e ti chiedo: cos’è l’attitudine (dato che abbiamo parlato di hardcore) oggi per gli Infection Code?
L’attitudine è passione, sudore, è piangere e combattere per le tue idee che siano musicali o altre. Abbiamo sempre sofferto artisticamente parlando. Abbiamo lottato per creare la nostra musica contro noi stessi, contro un sistema che non valorizza la musica pe(n)sante, contro tutte le avversità che una band incontra in una società dove l’arte in generale e la musica in particolare non trovano spazio. L’attitudine è emozione e sentimento. Non smetteremo di emozionarci e di trasmettere emozioni.

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