Impatto Sonoro
Menu

Recensioni

Mélissa Laveaux – Dying Is A Wild Night

2013 - No Format!
indie pop/ folk rock

Ascolta

Acquista

Tracklist

1. Postman
2. Hash Pipe
3. Dew Breaker
4. Pretty Girls
5. Move On
6. Sweet Wood
7. Generous Bones
8. Triggers
9. Piebwa
10. Cart Sans Horse
11. Calvatious

Web

Sito Ufficiale
Facebook

«Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.»
Aveva ragione il chimico e filosofo Antoine-Laurent de Lavoisier: il cambiamento è ineluttabile, sia che si parli di reazioni chimiche che di cammino musicale. E sembra proprio che una metamorfosi sonora abbia investito Mélissa Laveaux, artista (vocalist, cantautrice e chitarrista) canadese di origini haitiane trasferitasi da un paio d’anni a Parigi, portandola ad evolversi, a reinventarsi completamente nella realizzazione del suo secondo album Dying Is A Wild Night, uscito il 21 maggio e prodotto dall’etichetta No Format!.

Sarà allora che siamo inclini alla trasformazione o semplicemente che Parigi ti cambia la vita, fatto sta che la giovane donna in questione ha messo da parte la tenerezza acustica del folk identitario che animava Camphor & Copper, il suo disco d’esordio del 2006 in cui la chitarra sincopata è elemento totalizzante, per risorgere in una sofisticata veste pop-rock ma, tuttavia, senza abbandonare radicalmente la sua anima caraibica.
Detto ciò, cerchiamo di capire meglio cosa ci offre oggi Mélissa Laveaux con questo suo nuovo piccolo capolavoro eclettico, Dying Is A Wild Night. Il titolo, che costituisce un frammento preso in prestito dalla poetessa statunitense Emily Dickinson e che è simbolo del tormento caratterizzante la morte, lascia sottintesa «and a new road», la seconda metà del verso che delinea contestualmente l’idea di innovazione e movimento, le nuove tonalità che colorano l’album della rinascita dell’artista canadese. Incapsulare questo gioiellino musicale è un’impresa essenzialmente improbabile ai limiti dell’impossibile poiché al suo interno è possibile trovare elementi di folk, blues e roots racchiusi da una campana di un pop dalla forte incisività ritmica. E’ bene parlare di eclettismo allora, poiché Mélissa Laveaux è stata capace di sintetizzare e armonizzare stili, generi ed energie differenti.
Per il resto, parliamo di un disco capace di farvi ritrovare il buonumore ma, allo stesso tempo, in grado di trasmettere messaggi e critiche molto forti attraverso l’esame di tematiche difficili e tormentate che stanno a cuore a chi le ha scritte e le canta a voi. Vi riscoprirete quindi a muovere la testa ossessivamente come foste delle grandi gelatine umane grazie a brani come “Postman”, “Move On”, “Sweet Wood” e “Hash Pipe” (sì, è una cover iperdivertente della canzone dei Weezer), caratterizzate da un’incalzate chitarra ritmica, percussioni quasi sciamaniche, e da una Mélissa che per delicatezza e voluttuosità timbrica ci ricorda una più britannica Skye Edwards dei Morcheeba. Passerete poi a momenti di non troppo seriosa e noiosa introspezione con “Pretty Girls” e “Generous Bones” che affrontano il tema universale della bellezza fisica. Con “Triggers”, “Cart Sans Horse” e “Calvatious” toccherete le punte più indie dell’album ritrovando accenti alla Feist e alla Santigold. E infine, vi accorgerete che, come si premetteva sopra, Haiti è sempre presente e permeante. Due sono i pezzi che più ci regalano un’immagine triste ma innamorata di questo paese: “Dew Breaker”, soprannome creolo per identificare gli uomini che nella seconda metà del ‘900, durante il regime coloniale francese ad Haiti, hanno torturato ed ucciso migliaia di civili e “Piebwa” (albero), decimo brano cantato interamente in creolo che costituisce un vero e proprio omaggio, delicatissimo, alle sue origini.

Ascoltatelo e lasciatevi prendere dal coup de foudre.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Altre Recensioni