Diciamolo già all’inizio che i Deerhunter hanno un sacco di tratti distintivi: la facilità di ascolto e la duttilità di poter essere ascoltati in vari contesti e, soprattutto in questo caso, la caratteristica firma nella sovraproduzione dei layer sonori che tanto colpiscono l’ascoltatore medio di musica indie/garage odierno.
Monomania è un titolo retrò, un contenitore multigusto che, paradossalmente, mette un po’ di ordine nel caos dei precedenti album della band di Atlanta conservandone, però, le peculiarità di base ma non riuscendo a sbocciare del tutto. Aggiungiamo che, nonostante il rimpasto di formazione avvenuto, la leadership di Bradford Cox ne esce -quasi- indenne.
Neon Junkyard è la traccia che ci da il benvenuto con le parole “Finding the fluorescence in the junk […] Fading a little more each day” e atmosfere soft.
Applicabile autobiograficamente a tutti i monomaniaci che cercano il senso della vita nelle lyrics altrui, riesce ad essere assai minimal e carica di effetti allo stesso tempo: insomma, è la spiegazione scientifica di come funziona tutto il disco, dalle ottime canzoni ma non pienamente evolute, in una sorta di non-finito che satura il sesto album della band.
A partire da The Missing, unica traccia non cantata dal frontman, i brani potrebbero entrare più facilmente in testa grazie al sound da east coast, ai tempi di batteria e ai ritornelli dai cambi vocali di ottave un -bel- po’ di strokiana memoria. Pensacola è la tradizione americana, passata al minipimer con il garage di Atlanta che, stavolta, esce allo scoperto. Gradevole la successiva (e dal nostalgico atteggiamento brit e glam) Dream Captain.
Difficile andare controcorrente e non sembrare immotivatamente acidi (Monomania ha fatto incetta di stelline e voti over-8 su praticamente tutte le riviste/webzine/qualsiasicosa del settore) ma, a volte, ci troviamo di fronte a canzoni che fluttuano in piena modalità “noi[o]se”.
Teoricamente il disco vorrebbe essere dal più basso profilo possibile ma, in pratica, ogni membro si diletta nel suonare e partecipare con diversi strumenti e l’effettistica prende il sopravvento sul resto. Ci sono tanti vuoti: i rumori, la voce iperprocessata e distorta sono spesso in contrasto con l’ossuta e spoglia composizione.
E nessuna delle due cose fa guadagnare pienamente strada alle 12 canzoni, se non durante i live in cui i Deerhunter si esprimono perfettamente senza dover andare a cercare sovrastrutture e impalcature giustificative che quasi rovinano il lavoro discografico rendendolo forse un po’ esagerato. Siamo di fronte all’infelice caso di un disco che live suona assolutamente meglio.
In definitiva, Monomania non è deludente. Lo è, invece, l’atteggiamento in studio: avrebbero potuto fare di meno, essere più naturali e, invece, ci ritroviamo davanti ad un lp che si adagia sul “niente di nuovo però potrebbe funzionare”.
Leggenda dice che decine e decine di brani siano stati passati in rassegna per arrivare a questa tracklist. Scelte un po’ sfortunate o carenza di inventiva nel poterle sviluppare nel migliore dei modi possibili?
[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=bYUENZQ84-E[/youtube]