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Away – Cities

2013 - Utech Records
field recordings/sperimentale

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Tracklist

1.Montreal 2010
2.Europe 2012
3.Montreal 2012
4.Mexico City 2012
5.Europe 2011
6.Montreal 2011
7.Chicago 2012

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Per molti la sigla AWAY non vorrà dire niente. Per me, assieme a Piggy, è il simbolo della ricerca in un genere morto da tempo chiamata Voivod. Al secolo Michel Langevin, AWAY è il batterista di questa ricerca/realtà, ed un artista in senso ben più ampio, coi suoi disegni tramutati in artwork che ricreano un immaginario asfissiante e debilitante, fantascienza della claustrofobia.

Qualcosa che si riflette ampiamente nel suonato del batterista canadese che negli anni ha affiancato gente ben più sciroccata dei suoi colleghi Voivodiani, ad esempio J.G. Thirlwell (che voi, miei cari obliqui musicomani, conoscerete con il nome di Foetus) nel suo progetto tribaloideindustrialdrogato Steroid Maximus (ascoltare “¡Quilombo!” please, tanta roba). Una sequela notevole di esperienze ai limiti della sperimentazione in musica ti portano, alle volte, ad andare in tour. E il tour altro non è che un viaggio. E questa esperienza è solo una splendida occasione per un tipo come AWAY per raccogliere il giusto materiale per un ancor più giusto disco solista. Musica sì, ma non la sua, bensì quella delle città. Infatti il dischetto in questione porta il nome di “Cities”, la cui copertina descrive perfettamente la situazione: un viaggiatore entra in una cittadella spettrale e sghemba per raccoglierne la linfa acustica. Ed è ciò che fa Langevin, iniziato tempo addietro dal suo compagno Piggy al field recording, e arrivato negli ultimi 3 anni a collezionare il suono dell’esistenza umana. Luciano Berio fece un programma televisivo chiedendosi “perchè la musica?” e ponendo il quesito ad un sacco di compositori folli amici suoi, e la risposta era già ben chiara: perchè la musica permea l’esistenza. Si prende un registratore e ci si mischia al creato, si catturano e cristallizzano i momenti e si cuciono assieme le cassette registrate, e il nastro suona musicisti di strada, dalla sua Montreal all’Europa: musiche tzigane, il folklore speziato di strumenti a corda pizzicati da dita senza volto, automobili che alzano pozze d’acqua gelida, tristi armoniche a bocca che incontrano il vento, messe devote ed inquietanti a Città del Messico, note blue evaporate da jazzisti all’angolo di una strada, motori nel traffico che fanno da sezione ritmica a fisarmoniche sgangherate, le porte sbattono e i campanelli suonano solitari al vento accompagnati da corvi invisibili, bagpipes che gridano al cielo, lingue slave che strillano da altoparlanti sospesi nel vuoto, stazioni ferroviarie che si fondono ad urla di protesta perdute e remote trasformandosi in moderni rituali percussivi consumati tra le strade del niente, stereo che esplodono da automobili di passaggio , enormi orchestre dalla lontana Chicago che dissonanti accartocciano il tempo e poi…solo il silenzio.

E tutto finisce.

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