La vita sportiva e privata del calciatore Agostino Di Bartolomei, rivista per mezzo delle testimonianze di coloro che l’hanno conosciuto: dalla moglie, ai figli, ai compagni di squadra. Partendo dai primi calci scoccati nel campo dell’oratorio di Tor Marancia, sino all’esilio non troppo dorato di Castellabate.
Un uomo triste e spesso serioso, con un volto perennemente in bilico fra il tirato e l’incazzato. Al tempo stesso però un leader carismatico, capace di essere molto di più di un ottimo centrocampista, uno dei migliori degli anni ’80, uno al quale il barone Liedholm affidò il controllo del centrocampo della Roma che nel 1983, dopo oltre quarant’anni, seppe riportare lo scudetto in casa giallo-rossa. Questo era ‘Ago’, soprannome che lo inseguiva dai tempi dell’oratorio, questo e molto di più; Di Bartolomei infatti era un coacervo di sensazioni contrastanti che andavano dalla serietà, all’apparente disprezzo per i riflettori, passando per il rapporto a volte conflittuale, ma ai limiti della correttezza, con ogni suo compagno di squadra, ognuno dei quali è rimasto rapito dalla fine triste della vita del capitano giallo-rosso, forse troppo rapidamente dimenticato dal calcio che conta, come a dimostrare che quel disprezzo, con il quale durante la carriera si allontanava dai riflettori, ha fatto si che alla fine si tramutasse in un ostracismo invalicabile.
Il trentenne Francesco Del Grosso, alla sua prima opera in qualità di regista, firma un documentario dedicato ad un probabile idolo della sua infanzia, un personaggio scomodo ma altrettanto positivo come solo un Di Bartolomei, e pochi altri, potevano essere. Un documentario portato a termine grazie all’aiuto della famiglia Di Bartolomei e per mezzo anche delle testimonianze di coloro che conobbero il “silente numero 10”, uno che al calcio di oggi farebbe decisamente un grande bene. Uno al quale sicuramente troppo presto chiusero le porte in faccia dopo la fine di una carriera gloriosa.
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