È l’ora dell’”Abisso”, lasciatevi fottere. È l’ora del collasso, chiamate i soccorsi. Non arriveranno mai. Immersione e incapacità di riemergere. Mare Nostrum di sozzure e pece. È l’ora del fiato corto spezzato dalle mazzate in piena trachea, voce, viscere, percussione, sintetismi, budella che finiscono per bollire. C’è un Ragno che governa i nastri, e i nastri sanguinano avvelenati. È l’ora di perdere i sensi dinnanzi alla creatura OvO, che si prende tutto ciò che hai dentro e nulla lascia se non un antro vuoto e sporco.
Mostri commilitoni che vampirizzano l’anima e eviscerano i sentimenti chiamando a gran voce su “Aeneis” e soffocano voi, loro, noi, tutti, e trainano psicopatici ritmi stronzamente (di)storti a palesarsi nella loro vera natura, ossia “I Cannibali”, sludge a tiro di sberla sui denti che cadono marci drogati via endovenosa, endoanimistica (non si esiste) e repellente nel crogiuolo sintetico di “Harmonia Microcosmica” vomitata nelle disidratazioni in loop della sorella “Harmonia Macrocosmica”. E silenzi che si accoppiano in rituali, e singhiozzi che colano bile nera e straziante, come un Bill Laswell che si palesa zombificato in un continente obscuro, che non esiste davvero, mentre sciamane cantano la morte della voce, questa è “Abisso”, entrata nell’irreale, stupro dell’eidetico, stupro del linguaggio e dell’essenza grind uno scheletro divelto in “Pandemonio” che ribolle distruzione e odio e rabbia e ansia che zampilla dagli strumenti. E poi il silenzio, non Cage, più un manicomio, più la voglia di riposarsi su uno scoglio coperto di soffi e voci lenitive, prima “Ab Uno” poi le schizofrenie donate dalla gola di Madame Bozulich a cantilenare il volo mortifero di “Fly Little Demon”.
E poi basta. State annegando. Non pc’è iù bisogno di parlare.
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