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CHAMELEONS – Exenzia, Prato, 14 dicembre 2013

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Quando ho saputo che i Chameleons, autentica istituzione degli anni ’80, sarebbero venuti fino a Prato, ho sgranato gli occhi tra incredulità e un miraggio possibile di profonda beatitudine.L’Exenzia Rock-Club, locale dalle atmosfere goth-metal in cui si tiene il concerto, si incunea tra i fabbricati industriali della periferia pratese, soffiando a pieni polmoni l’anima depressa della Toscana suburbana nell’atmosfera della serata, habitat naturale se ce n’è uno dei nativi di una delle capitali di tale spirito nel globo, quella Manchester che da avamposto industriale ispirò le litanie post-punk dei Joy Division e di altri gruppi leggendari come Buzzcocks, Fall, Smiths ed altri, segnando un’epoca e anticipando i plumbei umori dei decenni a venire.

La parabola sotterranea di questo gruppo di culto appare incisa nell’energia autentica e nell’assoluta assenza di pose che mettono in scena. Ne risulterà un concerto che sacrifica alcuni dei loro pezzi migliori e più eterei (View From A Hill su tutti) per appoggiarsi a pezzi non esclusivamente di primissima fascia ma dal proverbiale climax e l’eco emozionale più immediato, in una scaletta eseguita con una ferocia senza tentennamenti e strappi eccessivi, ma con una intensità media altissima e un prolungato e memorabile bis. L’inizio è con una di quelle canzoni che ogni fan ha sognato di sentire dal vivo in serata, Swamp Thing, ipnotica dichiarazione d’intenti che prosegue con A Person Isn’t Safe e l’altro classico Here Today prima che l’abbagliante Looking Inwardly suggelli il primo momento davvero memorabile della serata, che si fa umore e si distende fino a Perfume Garden e Tears. Poi riprendono fiato e bene, con gli applausi convinti del pubblico che si è sbarazzato in una mezzoretta di ogni plausibile dubbio sulla tenuta estetica dei Chameleons nei decenni. Poi si naviga col pilota automatico saldamente inserito benchè si scali indietro di una marcia per una velocità di crociera comunque sostenuta con Mad Jack, Feel The Need, Soul In Isolation, Sycophants, Singing Rule Britannia, tra citazioni di Beatles (“Get Back”, “Eleonor Rigby”), Clash (“White Riot”) e Joy Division, con il sentito omaggio a Ian Curtis (Dance-dance-dance-dance to the radio, da “Transmission”), per impennare con l’ultima canzone della consona scaletta, il totem eighties Secon Skin. Si giunge infine a un largo bis che va oltre le aspettative e la scaletta del precedente concerto di Milano, con l’Arcadia post-punk di Monkeyland, Paper Tigers, Don’t Fall e In Shreds, che trasforma il concerto da memorabile in epico.

Finisce con i Chameleons e compagni che dopo un concerto pazzesco raggiungono a tentoni un malconcio furgoncino che avrà almeno quanto Script Of The Bridge offrendo al pubblico lo sfizioso piatto della casa: pane e birra, condito da sproloqui scherzosi o incomprensibili. Tra una canzone e l’altra Mark Burgess ha ricordato che “This music was made in Manchester, England”; anche il buffet a quanto pare, mentre il loro furgoncino si allontana lasciando nell’aria la plumbea nube della marmitta recalcitrante, quella magia che solo le grandissime band possono osare e la limpida sensazione di aver sfogliato di persona una pagina significativa dell’enciclopedia del rock.

Foto a cura di Andrea Baccetti e Sandro Rosi (Light Motion) Link : http://www.facebook.com/lightmotionpage

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