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Nazarin – La Mattanza Dei Diavoli

2013 - Viceversa
songwriting/rock/blues

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Tracklist

01. Veglia Sui Nostri Figli
02. Radice Mangia Radice
03. Un Intero Giorno
04. Sugli Aghi
05. Tre Lune
06. Partinico
07. Per Quello Che Ho Fatto
08. Una Preghiera Semplice
09. La Mattanza Dei Diavoli

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È prassi consolidata che quando un membro di una band intraprende la carriera da solista ci sia un ammorbidimento del sound, un’adesione a quelli che sono gli stilemi del cantautorato. A ciò non è inusuale accompagnare anche un cambio di atteggiamento, una tendenza a intellettualizzarsi che spesso degenera in forme di odioso imborghesimento.
Nazarin è il progetto solista di Salvo Ladduca, avviato parallelamente all’attività con i Marlowe, e rompe totalmente con questa prassi: La mattanza dei diavoli, infatti, è un disco potente, ruvido e sanguigno, contraddistinto da un suono affilato e spigoloso, da testi pregni e coraggiosi. Dimostrazione che un disco può essere intimo anche senza essere morbido. I Marlowe fanno parte della nutrita schiera di artisti siciliani che ruotano attorno a L’Arsenale e hanno un‘anima complessa e sfaccettata: si mescolano folk e cantautorato, blues e velleità sperimentali si fondono in uno stile del tutto personale e pressoché unico nel panorama nostrano, con atmosfere a volte sospese e sognanti, eteree, quasi post.
Nazarin è come se fosse una costola che vive di vita propria, la componente folk-cantautoriale è stata messa in piena luce, supportata dall’esaltazione dei suoni più ruvidi e potenti.

Il risultato è un folk d’introiezione, cupo, brutale, poetico e rabbioso. Nel disco è come se convivessero due anime, un attaccamento radicale alla terra d’origine e una contaminazione d’oltreoceano; risuona la Sicilia, ma con un’eco di un folk americano sporco, elettrico e distorto. Rispetto ai dischi dei Marlowe c’è una direzione più marcata, con riferimenti ben chiari e definiti: c’è l’Australia di Hugo Race, ovviamente si sente Cesare Basile, ma, nei momenti di maggiore spinta, certe soluzioni possono ricordare gli Wovenhand. Nazarin si sporca le mani nella terra e nella polvere, si immerge nel fango, fa i conti con la carne e con il sangue.
L’ossessiva e incalzante Radice mangia radice è il primo singolo estratto e ricorda il repertorio più tosto del mentore Cesare Basile: Strofe della guaritrice, Fratello gentile e Storia di Caino, per fare qualche nome. In generale, vi è anche in comune il tentativo di recuperare il legame originario con la terra e la carne, di esplorare le viscere, gettare lo sguardo negli abissi interiori e nella realtà che ci circonda.
Ci sono poi canzoni che colpiscono per la loro potenza (la chitarra infuocata ne la titletrack, le percussioni di Veglia sui nostri figli) e altre per la loro profondità più classicamente cantautoriale (Un intero giorno e Per quello che ho fatto, delicate e sofferte, e Tre lune, più vicina alle coordinate musicali dei Marlowe, con atmosfere soffuse, sospese ed evocative). Sugli aghi è invece un pezzo deciso, ma con ampio respiro: chitarroni che farebbero invidia agli Wovenhand si alternano a momenti più pacati e intimistici. Il capolavoro del disco è sicuramente Una preghiera semplice, brano dominato dal suono del violino, struggente e straordinario come se uscisse da un disco dei Dirty Three o degli Willard Grant Conspiracy.

In chiusura, è d’obbligo dire qualcosa sui testi, suggestivi e visionari; un uso delle parole coraggioso e mai banale, parole intrise di vita vissuta e cariche di senso. Si percepisce un’urgenza di esprimersi e comunicare, caratteristica di chi ha qualcosa di profondo da dire. Davvero un bell’esordio.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=rKcqzcnSo10[/youtube]

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