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Lydia Lunch & Philippe Petit – Taste Our Voodoo

2013 - Rustblade
sperimentale/elettronica

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Tracklist

Disco 1:
1. Voodoo I
2. Voodoo II

Disco 2:
1. Voodoo III
2. Voodoo IV

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E’ sempre complicato parlare di alcune espressioni particolari dell’arte, forse perché è elevato il rischio di sbattere fuori dai binari dell’obiettività che poco si adatta, nello specifico, alla musica. Tuttavia, nel caso di Lydia Lunch è doveroso impostare il discorso ricorrendo ad alcuni punti di riferimento. La libertà espressiva, innanzitutto, che non merita in nessun caso un qualsiasi giudizio di sorta, perché la scelta della Lunch di esprimere il suo talento in poesia e condirlo con la musica è sicuramente condivisibile, se si hanno i “mezzi” giusti per comprendere tale libertà, in caso contrario il tutto si riduce ad un noioso quanto evitabile esercizio di ascolto di qualcosa di “strano”.

La voglia di richiamare l’attenzione, poi, su determinati temi piuttosto impegnativi, così come l’artista americana fece ad inizio anni ’90 con lavori come P.O.W. e Crimes against nature. Ed infine, la necessità di tradurre gli stimoli che vengono dall’esterno in qualcosa che non sia merda nel water. La combinazione di questi elementi è fondamentalmente il riassunto in parole di Taste Our vBoodoo, un disco che è Lydia Lunch fatta e finita e che si regge sulla capacità dell’artista di spiegare il proprio stato d’animo attraverso un flusso pressoché costante di parole, accompagnandosi con le lunghe note dello sperimentatore Philippe Petit. Un esperimento che, in fin dei conti, è un bis di carattere che fa il paio con l’edificante esperienza che i due artisti svilupparono nel 2011 con In comfort. Taste our voodoo si compone di due dischi entrambi contenenti due brani della lunghezza media che scavalca prepotentemente i venti minuti e che si contraddistinguono per le ampie arie sonore lavorate da Petit (un giocoliere, uno sbalorditivo funambolo e un apprezzabilissimo musicista), sulle quali si muove il verbo della Lunch che diventa subito riconoscibile e che si traduce in significativi richiami al repertorio delle riot girl, le parole “freedom”, “revolution”, “violents” e “dreams” si rincorrono lungo i 4 pezzi mostrando la rabbia, la passione ed il vigore di un’artista che, nonostante il mare di “cose” fatte nella sua vita, non mostra alcun segno di rassegnazione sui principi. Il richiamo dell’ouverture Voodoo I lascia ben intendere quali sono le intenzioni della Lunch che grazie al supporto di Petit può elaborare i testi, può scegliere i tempi e l’intensità con la quale declamare, il risultato è una sorta di “istallazione sonora”, un componimento che deve “compiersi” pienamente sul palco, l’unico luogo dove le intense provocazioni della Lunch troveranno completa traduzione. Il resto del disco è un viaggio attraverso il sentiero già tracciato, contraddistinto da esaltanti cambi di “scena” manovrati da Petit che inserisce tra le trame liriche dei brani regolari appunti sonori, synth lunghi, percussioni al contagocce, tanto per chiarire chi ha la ribalta della scena.

Taste Our Voodoo è fondamentalmente un esperimento di libertà, un lunghissimo spazio ben congegnato per la Lunch che non cede quasi mai l’occhio di bue. Un esercizio che necessità del suo habitat naturale per farsi “consumare”, senza di esso rimane ben poco da dire a riguardo.

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