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Interviste

Intervista a Ferruccio Quercetti (CUT)

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Questo è il risultato dello sbobinamento di una telefonata pre-natalizia a Ferruccio Quercetti dei Cut. Band importante sia per la longevità (nel 2014 fanno 18 anni assieme), sia per la fedeltà ad un modo di suonare non più così diffuso.
Per questo ne abbiamo approfittato e, domanda dopo domanda abbiamo parlato sempre meno della band e sempre più di cosa vuol dire per noi ascoltare musica.

I Cut sono e rimangono una delle band indipendenti italiane dalla storia più longeva: attualmente in tour, sono attivi dal ’96 e quest’anno compiono i 18 anni dagli esordi. Com’è cominciata la vostra storia?
Ci siamo formati in una situazione casuale, quando mi ero trasferito a Bologna per fare l’Università, nel frattempo ho vissuto a Brighton con l’Erasmus, eravamo appassionati di musica ma non ci siamo mai posti il problema di essere in linea con una tradizione piuttosto che con un’altra.

Se dovessi citare un tipo di tradizione musicale dal quale provieni tu come musicista, che nomi faresti?
Sono appassionato di Blues, Rock and Roll anni ’50, del Garage rock dei Sonics, gruppo che secondo me ha anticipato davvero i tempi per quello che sarebbe poi diventato il punk degli anni ’70

Sentendoti parlare così mi viene da pensare veramente che non ci sia una vera e propria linea seguita ma solo un gusto musicale che ripercorre l’intera storia del rock e la seleziona con criterio…
Riguardo a questo argomento mi verrebbe da fare una riflessione su come si ascolta la musica oggi. Non mi sembra ci possa essere lo stesso criterio per selezionare la musica da ascoltare, c’è talmente tanta musica nel web che molte volte ci si perde e non si riesce ad avere un filtro…
Non c’è il tempo materiale per ascoltare tutto. Da una parte è troppo facile arrivare ad ogni tipo di musica, d’altra parte l’estrema accessibilità fa sì che non ci sia più una passione così “viscerale”. Prima nasceva la passione per la musica poi la determinazione per sviluppare questa passione e per eventualmente suonare. Una volta scegliere un tipo di musica significava adottare una scelta di vita che ti separava dal resto della gente. Io sono contento che oggi ci siano molti più strumenti per ascoltare musica sul web. Mi chiedo se un ragazzo ascoltando in un pomeriggio una discografia di vent’anni abbia lo stesso pathos che avevo io quando agognavo per mesi prima dell’uscita di un album. A volte mi domando: a cosa serve tutta questa musica se non c’è nessuno che ha un reale interesse ad ascoltarla?

Cambiando punto di vista: dal lato del musicista che effetto può avere questo nuovo approccio alla musica?
Ora come ora vedo molta cura formale: inserimenti estetici e sound perfetto che molte volte serve ad imitare lo stile delle origini. In realtà però noto che manca quell’urgenza di comunicazione di cui la musica indipendente si è sempre nutrita. A volte mi sembra che i gruppi siano al corrente che ciò che vanno a fare catturerà solamente un’attenzione volatile e momentanea. Di conseguenza questo influenza anche il rapporto con la loro musica. Noi sentivamo di appartenere ad una scena fatta di persone che in qualche modo erano contro un sistema mainstream… e così la scena underground veniva alimentata. Una scena fatta non solo di musica, ma di persone e di idee.

Credo anche io. Oggi la condivisione di musica sicuramente si è spostata dal reale al virtuale. Ma l’interesse verso alcune arti (come musica e la fotografia) sembra che oggi non sia alimentato dalla passione pura, ma dalle possibilità “creative” che i device tecnologici mettono a disposizione di tutti, facendo leva sul concetto di “coolness” e di affiliazione tra persone cool.
Sono d’accordo, figurati che alla nostra etichetta Gamma Pop, ci arrivavano dischi con pezzi lunghissimi che nemmeno Aphex Twin, fatti non perché c’era la necessità, ma semplicemente perché c’era la possibilità di farli.

Per i Cut , l’adesione al concetto di indie rock è stata la conseguenza alla vostra produzione musicale o una scelta fatta consapevolmente?
Sicuramente la nostra è stata una scelta consapevole, la scelta di vivere la nostra scena da protagonisti, organizzando i nostri concerti e scrivendo ai gruppi che sentivamo vicini a noi. L’indie sembra essere diventata una pura etichetta merceologica.. si è andato a cercare un sound, un’estetica, forse una moda e si è creato un genere musicale da qualcosa che non lo è. Adesso il concetto di indie forse non esiste più, forse ha più senso di parlare di underground.

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