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Deflore / Infection Code – Subsound Split Series #1

2014 -
black/noise/core

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Tracklist

01. Deflore – Parete HP
02. Deflore – Ferroconcrete
03. Deflore – Champion Of Mediocrity
04. Infection Code – Beauty Among The Wires
05. Infection Code – Laus Odium
06. Infection Code – Weapons

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Disagio a due dimensioni convergenti. In copertina Joseph Merrick, l’uomo elefante, osserva uno scacco mentre l’uomo d’affari giapponese tramutatosi nell’uomo d’acciaio chiamato Tetsuo attende la prossima mossa. Il “Settimo Sigillo” dell’oscurità. Umani che hanno perso la loro umanità e attendono ognuno la propria fine. Fusi nel metallo, contorti nella carne, incarnazione del terrore strisciante di un secolo passato ma in perenne svolgimento nella testa delle persone, pronti ad uscire con la spinta giusta.

E questo stimolo diventa arma per i Deflore ed Infection Code, uniti in un tutt’uno di metallo e cemento in questo split, invitati ad un’enfasi di terrore dalla Subsound Records. Un lato ciascuno, a distruggerci completamente, sei brani in totale per stare male. La puntina scende nei solchi della facciata dei Deflore e lo scenario è quello proprio dei film di Lynch, un buio inesorabile, il buio dello spazio, la desolazione di “Dune”, le deformità di Merrick, l’ansia delle Strade Perdute, entrano tutti dalla porta di “Parete HP”, che assoggetta il ritmo e lo fa strisciare, l’anima intensa degli Ulver banchetta al tavolo di Alain Jourgensen, un ritmo lento e lacerante che porta in grembo chitarre compresse di odio che salgono in cerchio, innestate in un muro doom che esplode nell’urgenza e spezza i filtri elettrostatici di “Ferroconcrete” come una marcia di mostri che urlano senza voce immersi in un mare di bassi dub al sapor di cemento che s’infrangono in texture flebili che portano alla memoria Eraldo Bernocchi in “Champion Of Mediocrity” che vibrano fino al cielo. Un cielo che assume forma di rete di metallo arrugginito quando giri il vinile e guardi in faccia al disagio in musica degli Infection Code, l’aria che respirate arriva dalla cortina di ferro, “Beauty Among The Wires” risuona nel deposito in cui il feticista del metallo si scarnificava con tubi metallici prima di morire, il tempo si dilata nel freddo concretizzarsi di una chitarra urticante che dona l’appoggio che disgregazioni vocali che sradicano il sistema nervoso dalla pelle e mentre guarda una luce sintetica vomita disgusto in “Laus Odium” dalle sei corde che scorticano, tribale quanto un rito voodoo consumato nell’officina di Blixa Bargeld, cantilene vocali che strillano sotto voce, e “Weapons”, che fa annaspare in un dolore di gelide acque black e sintetizzano il disastro in messaggi codificati. Questo è quanto.

“We can mutate the whole world into metal, we can rust the world into the dust of the universe..” “Let’s DO IT!”

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