“Micah P. Hinson and the Nothing” fa stare bene. Rimargina le ferite, crea un equilibrio perfetto intorno a noi, una pace che avevo perso. Grazie per essere guarito Micah. Ne avevo bisogno.
Il tormento interiore c’è sempre. Quell’introspezione che ci rivolta le viscere in maniera selvaggia e che ci lascia con un vuoto cosmico dentro ma leggeri come l’aria dopo averci strappato via alcuni organi inutili, sassi piantati nel cuore da tempo e diventati troppo pesanti per poterli trasportare ancora. E quest’angoscia esistenziale è sempre presente in Micah P. Hinson, si avverte nella voce, trapela dalle sue corde vocali e trova sfogo ancora una volta. Il dolore allo stato puro che si mette in mostra e che cerca allo stesso tempo di attenuarsi, di estinguersi da se attraverso la musica, attraverso un folk a tinte fosche con sfumature country alla Johnny Cash. Il grigio che sceglie di punto in bianco di diventare un nuovo colore. Il disco raggiunge momenti amari e travagliati come la penetrante “The Quill”, momenti orchestrali pieni di speranza come “Love, Wait For Me” e tripudi di “allegria” in chiave country/rock’n’roll come “The Same Old Shit” oppure punkeggianti come “How Are You, Just A Dream”.
Il punto più alto emotivamente è “On The Way Home (To Abilene)”, struggente e malinconica come qualsiasi ritorno a casa dopo tanto tempo. Il signor Hinson preferisce suoni chiari e semplici: chitarra e pianoforte circondati raramente da altri arnesi del mestiere come ad esempio il contrabbasso, il violino e il banjo. Pochi fronzoli, lo stretto indispensabile. Il tutto coronato da una bella voce profonda e dolorosa, l’espressione di un’anima triste che vuole però trovare una dimensione più felice.
“Micah P. Hinson and the Nothing” è l’alba che squarcia le tenebre della notte, la voglia di rialzarsi e di ricominciare a sognare. Bentornato Micah.
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