“My fuck-off vacation band”. Lo dice Les Claypool del suo Duo De Twang, che condivide con il chitarrista Bryan Kehoe. E così i due partono per questa fàc-of veicheiscion imbracciando chitarra e basso dobro e decidono di stendere tutti a colpi di “twang”, country e bluegrass alla marcia maniera di padre Primus che prende e riarrangia per questa particolare formazione di amorevole stronzaggine brani suoi di sé, suoi dei Primus e varie altre chicche che ora vi elenco così siete felici.
Lato A: prima sberla è “Wynona’s Big Brown Beaver”, roba da Primus, roba che anche senza batteria fa spavento, coretto immancabile e mazzate in levare, rese ancor più “pesanti” dall’effetto twang, si passa a “Amos Moses”, rock’n’roll urticante di Jimmy Reed che qui prende veste stronzeggiantemente country, dritta e sfiancante come l’alligatore che ha mangiato la mano al povero Amos, continuiamo su “Red State Girl”, già inquietante e waitsiana nella sua posizione originale sul disco “Of Fungi And Foe” qui assume un tiro altrettanto tetro e volendo più bastardo e cupo, con la voce di Les che continua il percorso iniziato nell’ultimo album della sua band madre, e vai di bluegrass danzante con “The Bridge Came Tumblin’ Down” di Tom Connors. Fine lato. Giro.
Lato B: allucinanti rumori provengono dalla chitarra di Kehoe mentre i legati di Claypool devastano su “Boonville Stomp” che cede il passo all’immensa cover di “Stayin’ Alive” dei Beeges, tempo strappato e gitano, veloce e feroce, cori cupi, come li farebbe nonno Waits alle prese con questo brano e in chiusura di lato uno dei miei brani preferiti del Claypool solista ossia “Rumble Of The Diesel”, ennesima canzone che inneggia all’amore per la pesca del mostro del quattro corde, una vera sassata in faccia, voce legatissima come se l’hip-hop l’avesse inventato lui.
Lato C: sorvolerei l’arcigno country di “Buzzards Of Green Hill” e la strisciante “Hendershot” per giungere al pezzo forte (per me) di tutto il disco ossia “Man In The Box”, brano portante degli Alice In Chains, spogliato dalla sua angosciosa epicità e rivestito di levare manouche e un cantato che da basso e spooky passa a liricamente “demenziale”. Layne apprezzerebbe, ne sono certo.
Lato D: pezzo forte dell’ultimo lato è l’immancabile “Jerry Was A Race Car Driver”, ultraveloce (che cazzo vi aspettavate?), quasi irriconoscibile in cui sembra comparire il “ride, ride, ride” di “Police Truck” dei Dead Kennedys qua e là.
Fine del disco. Tanto ora lo rimetto.
Ciao.
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