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M’Importa ‘Na Sega #10: Discreet Music – Appunti Sul Silenzio

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È giovedì ma io no. L’unica rubrica derubricata in partenza nasce in un giorno di neve fitta sull’appennino e di pioggia stronza dentro casa mia.
Per interrompere il conato di bestemmie in corso ho pensato di aver bisogno di fare una cosa bella e inutile.
Come questa, ossia raccontare attraverso particolari storie (quanto più possibile non troppo note) di musicisti, dischi, canzoni e concerti, prestando ad essi ulteriori spunti a tema, equivoci maldestri e ricami personali con pretesa assoluta di incompletezza e strettamente ove impossibile e fuorviante, come fosse antani.

M’Importa ‘Na Sega #10: Discreet Music – Appunti Sul Silenzio

discreetmusic

“Un giorno, nel gennaio 1975, ebbi un incidente. Fui costretto a letto per un po’ senza potermi muovere. Venne a visitarmi un’amica che mi portò in dono un disco con musica d’arpa del XVIII secolo. Dopo che se ne andò, e con molta difficoltà, misi il disco sul piatto. Ma quando tornai a stendermi, mi accorsi che il volume era molto basso e che un canale dei diffusori non era collegato. Non avevo più la forza di rialzarmi e di sistemare le cose, il disco suonava e io praticamente non riuscivo ad ascoltarlo. Ebbi così modo di sperimentare una nuova prospettiva di ascolto – la musica era parte dell’ambiente circostante, come l’intensità della luce e il suono della pioggia che cadeva. Così scrissi “Discreet Music”, suggerendo di ascoltarlo a un livello molto basso, anche sotto la soglia di udibilità”
Brian Eno

Quel giorno non si può dire che nacque la Ambient Music, già accennata in lavori precedenti di Eno, ma fu senz’altro un giorno decisivo per una sua teorizzazione a-musicale (sulla scia del libro “Musica per non musicisti”, 1968) e per la futura proliferazione della stessa. In “Music for Airports” infatti, Eno si spinse oltre, in una piena definizione musicante della compenetrazione tra ambiente e musica. Racconterà di un altro giorno, stavolta nel 1977, all’aereoporto di Colonia, che porterà a compimento la definizione del canone estetico di Ambient Music, un canone ambientale:

“Era mattina presto, c’era il sole, le sale erano quasi vuote e l’architettura del luogo era molto attraente. Cominciai a chiedermi quale musica potesse suonare bene in un posto così.Pensai: deve essere una musica che si può interrompere, per via degli annunci, che deve lavorare con frequenze diverse rispetto a quelle usate per parlare e anche con velocità diverse, e dev’essere in grado di smussare i rumori che l’aereoporto produce. E, cosa più importante, doveva essere legata all’idea di volo, di spostamento nell’aria e deve flirtare con l’idea della morte”

E “Music for Airports” fu il risultato di tutto questo, oltre al naturale esito, due anni dopo, di “Discreet Music” e di intuizioni risalenti a ricerche del passato recenti e non, delle quali questi furono i frutti.
Il seme della Ambient Music era stato posto da Erik Satie nel 1888 con le “Gymnopedies”, la cui musica, diceva, non è da “ascoltare con il cervello fra le mani. E’ musica d’ameublement, capace di rimescolarsi con il rumore dei piatti e delle posate a tavola, poichè nessun artista ha il diritto di disporre del tempo del suo udire”.
Anton Webern – con un’innovativa frammentazione sonora attraverso la distribuzione della melodia sui singoli strumenti – e Pierre Schaeffer – con la sua “Symphonie pour un homme seul”, una sorta di “poema concreto” sulla giornata d’un uomo, con respiri, passi – contribuirono a sviluppare questa naturale quanto originale intuizione musicale, lasciando ai posteri l’eredità di proseguire la ricerca di questo nuovo orizzonte di musica, rumore e silenzio.

Chi raccolse i frutti del recente passato anticipò poi la “Discreet Music” con intuizioni contigue e parallele: in musica, tra cui quelle di Terry Riley, La Monte Young e Steve Reich, mentre Robert Rauschenberg ebbe simili intuizioni per le arti visive, con una serie di quadri bianchi che cambiano a seconda delle condizioni di luce dell’ambiente di esposizione.
Il movimento artistico Fluxus, promotore della fusione di tutte le arti, si fece portavoce di tali istanze creative e il vero pioniere fu un suo noto esponente, John Cage, con il celebre silenzio di “4’33””, uno spartiacque nella storia della percezione umana del suono e dell’Altro.

whitepainting

“Quando pronuncio la parola Silenzio,
lo distruggo”

Wislawa Szymborska

Fu una rivoluzione estetica, sulla scia di quella operata nelle arti figurative da Andy Warhol attraverso la Pop Art. Era la dimostrazione che ogni suono può essere musica ed ogni musica può essere suono, in un flusso connaturato all’esperienza percettiva umana, in cui “il silenzio non esiste”. Se con la Pop Art niente poteva più distinguere l’arte dagli oggetti comuni, così si annullava la distanza tra la musica e il suono/silenzio.

“Musica silenziosa,
solitudine sonora”

San Giovanni della Croce

“Una volta c’era un famoso suonatore di cetra, chiamato Chao Wen, che sapeva suonare la cetra come nessun altro. Ma un giorno all’improvviso smise completamente di suonare la cetra. Aveva finalmente capito che nel suonare una nota si trascuravano inevitabilmente tutte le altre. Fu solo allora, quando smise di suonare, che riuscì a sentire la completa armonia di tutte le cose. […] L’unica musica completa è quella dei suoni naturali”
Chuang Tzu

Cage si interessò molto alle discipline spirituali, in particolare a quelle orientali. Oltre all’influenza dell’I-Ching, il “Libro dei Mutamenti”, il suo concetto di composizione, ed in particolare di flusso costante di suoni (“ne esistono sempre almeno due, quello più acuto è il sistema nervoso in funzione e quello più grave la circolazione sanguigna”), fu influenzato da una particolare scuola buddhista, dal nome “Huayen”. Secondo essa, tutte le cose del mondo si compenetrano, senza ostacolarsi. Inoltre, il concetto di “Jijimuge”, che la permea, sottende che “tutte le cose sono l’Uno e non hanno vita, se separate da esso; l’Uno è tutte le cose, ed è incompleto senza la minima parte di esse. Ma le parti sono parti all’interno del Tutto, non immerse in esso; esse sono “interfuse” con la Realtà, pur mentre mantengono la piena identità come parte, e l’Uno non è meno Uno per il fatto che è composto di un milione di milioni di parti”.
Solo rendendosi disponibili ai diritti del rumore e del silenzio, questa compenetrazione tra il Sè e la realtà esterna diviene possibile.

“Daniel Charles – Lei integra ai suoni della musica i suoni della gente che tossisce…
John Cage – Vale a dire ciò che gli altri chiamano “silenzi”. Scambio i suoni e i silenzi”

Sempre Cage parlava così della sua idea di musica: “Non avevo nessuna percezione dell’ armonia. Ma ora sono cambiato, comprendo l’ armonia dei suoni e dei rumori. La mia musica è quella dell’ambiente. A New York sento il traffico che scorre e questo suono m’interessa tantissimo”. All’epoca viveva nella “casa che ascolta la città” sulla 18th Street, 6th Avenue, dalla quale un giorno la storia della musica si accorse di qualcosa che le era sempre sfilata, parallela e vivace, accanto: la vita della natura e dell’uomo ed i suoi suoni, all’interno della quale l’unico significato possibile di silenzio è l’”assenza di intenzione”.
“Solo il silenzio è grande, tutto il resto è debolezza”, scriveva Alfred de Vigny. E questa debolezza ha il fiato (un altro suono quotidiano) corto della vita e della morte, del tangibile e non dell’immanente: il mondo ci sopravvive. La grande rivelazione sul silenzio potrebbe dunque essere quella suggerita da Josè Saramago:

“forse solo il silenzio esiste davvero”

[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=7-Vq4pmzMaE[/youtube]

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