Tutto è preciso, ordinato e coordinato alla perfezione. A partire dalla copertina: foto in bianco e nero anni ‘60-‘70, primavera-estate, normale vialetto d’ingresso fotografato da posizione defilata, quasi di nascosto. L’impressione è quella di immortalare furtivamente una vita altrui, le sensazioni sono strane e sinistre.
Esattamente come quelle generate dall’ascolto di “Hot dreams”, un disco tendenzialmente terso e soleggiato ma che improvvisamente si rabbuia e rinfresca a causa di addensamenti nuvolosi e sbalzi di temperatura in grado di cambiare radicalmente il colore e l’umore della giornata. Si ha una costante sensazione di instabilità, di fuoco non spento, di quadretto famigliare apparentemente felice e sereno, ma sotto sotto instabile e sdrucciolevole.
Gli arrangiamenti sono studiati al millimetro, tante sonorità ma tutte ben calibrate e recintate all’interno del proprio cortiletto. Non ci sono mai eccessi in un verso o nell’altro, si rispetta sempre la velocità di crociera, ma ciononostante non ci si annoia, anzi al contrario è un piacere perdersi e riperdersi dietro ad ogni traccia per scoprirne un passaggio, una variazione non notata in precedenza, perdere la testa per un particolare, che sia quel cazzo di sax in “Hot dreams” e “The three sisters”, la sezione ritmica di “Curtains!” o il finalone spaghetti western di “Run from me”, poco importa.
Tanti odori & sapori ed una sola costante, il pop. Quello elegante e d’atmosfera, quello che guarda al passato e a ciò che è già stato (suonato) ma che non trascura affatto il proprio tempo e contesto, quel genere di pop ricercato, corposo e che fa subito pensare al cinema ed in particolare a quei film noir e polizieschi anni ’70, celebri quasi esclusivamente per le sonorità che per qualsivoglia stilema o merito cinematografico.
In tutto questo la voce di Taylor Kirk fa da eccellente collante, con quel timbro quasi baritonale, caldo, suadente ed abile ad assecondare il sound e contestualmente a guidarlo senza strappi, con quell’autorevolezza propria dei grandi condottieri e che si manifesta più negli atteggiamenti che nelle parole.
Dopo “Hot dreams” il Canada non è più solo hockey, aceri, castori, Neil Young e Gilles Villeneuve, ma anche Timber Timbre. Disco stra-consigliatissimo.
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