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Interviste

Intervista agli ALANJEMAAL

alanjemaal

Dopo averli (nuovamente) apprezzati con il loro secondo lavoro “(Non ho) Niente da sognare” (clicca qui per la nostra recensione), ci facciamo una bella ed abbondante chiacchierata con Alberto Casiraghi, chitarra, voce e testi della band lombarda.

Partiamo dall’inizio: origine del nome e breve biografia degli Alanjemaal.

Sul nome non posso dire nulla, se non che non vuol dire niente, nel senso che non è traducibile in una parola che si può trovare sul dizionario. Da dove derivi invece è un segreto: diciamo che è strettamente legato ai componenti della band.

La nostra storia è piuttosto lunga e complessa, perché tutto nasce nel 1993 con il nome di Rude Pravda, col quale durante gli anni 90 abbiamo prodotto due demo tape su cassetta (come da prassi nell’epoca pre-digitale) più alcune partecipazioni a compilation, tra le quali citiamo “Fuori dal Mucchio vol. 1” prodotta da Federico Guglielmi. Nel 1999 con l’ingresso nella line-up dell’attuale bassista cambiamo denominazione sociale, raddrizziamo la direzione sonora e subito ci mettiamo di buona lena per lavorare sul nostro debutto discografico. Cosa che si concretizza con il felice sodalizio (che dura tutt’ora) con Fabio Magistrali che ci registra e ci produce nel 2001 quello che diventerà undici anni dopo “Dalla ruggine”. Il delay temporale tra le registrazioni e l’uscita del cd è dipeso da diversi fattori. Prima di tutto, l’indifferenza, sia da parte delle allora morenti case discografiche, sia da parte di tutti gli operatori del settore a cui ci eravamo rivolti. Certo, si poteva pensare di autoprodurlo in toto, ma eravamo nell’epoca di una rete non ancora social. La paura di bruciare un disco su cui avevamo spento tanto lavoro e aspettative ci ha bloccato forse più del dovuto. E così, passa un po’ troppo tempo e neanche a farlo apposta si susseguono una serie di problemi tanto che l’uscita di quel cd non è più priorità. Cosa successe? Semplicemente, come accade a tutti prima o poi, la vita ti presenta il conto fatto di lavori complicati, famiglie che si costruiscono e in alcuni casi si frantumano, figli che nascono e che fortunatamente ti riempiono la vita. Ci fermiamo un attimo e senza accorgerci passano dieci anni, nei quali non abbiamo mai smesso di suonare, anche se in alcuni momenti, a turno in ognuno di noi, la tentazione si è palesata. Poi nel 2010 si rimette in moto qualcosa nelle nostre teste: partecipiamo attivamente alla produzione della compilation tributo “Franti: uno solo poteva ridere…” e visto che le cose sembrano ricominciare a funzionare celebriamo la ripartenza con la pubblicazione del cd perduto. Un bel po’ di concerti e poi a Marzo di quest’anno la seconda uscita intitolata “(Non ho) Niente da sognare”, un video da poco uscito, un altro in produzione, l’idea di un nuovo disco…

Due album e due copertine secondo me notevoli: statiche e molto semplici ma cariche di significati e perfette per i rispettivi album. Come sono nate?

La calma con la quale facciamo uscire i nostri dischi è anche dipesa anche dalla scelta ponderata e faticosissima dell’apparato grafico. Non potrebbe essere altrimenti. Per la copertina di “Dalla ruggine”, posto che l’album era pronto dal 2002, l’epifania l’ho avuta un giorno guardando sul web il book fotografico di una nostra giovane e talentuosa amica, Marta Rossetti. Appena ho visto quella bellissima foto con una lavatrice arrugginita in una casa abbandonata, ho capito, per analogia, che in fondo quello che andavamo a pubblicare poteva essere considerato un disco che il tempo poteva avere ossidato. Ma nel cercare di evitare un’accezione solamente negativa, mi è venuto in mente il titolo dalla ruggine che come si può intuire ha un valore metaforico, che in quel momento identificava alla perfezione sia quel disco che la storia della band. Per il secondo disco “(Non ho) Niente da sognare” la faccenda è in un certo modo ancora più poetica. L’idea iniziale era quella di intitolare il cd “Soffocare”, come la canzone del nuovo video, e avevamo commissionato la realizzazione grafica sempre all’autrice dell’altra copertina, che però questa volta doveva fare un lavoro ex-novo, proprio partendo dal titolo del disco. La cosa non ha funzionato. Scartata quell’idea, ci rivolgiamo quindi a un altro amico che dopo qualche mese mi manda una mail con una serie di foto di interni disadorni e abbandonati che mi fa saltare sulla sedia, non solo per la bellezza delle immagini, ma perché quelle fotografie le ho già viste ma non ricordo dove. Davide, il grafico, mi dice che le ha rubate da un libro preso nella biblioteca della mia città, Lissone. Ci vado, cerco il libro e incredibilmente in un attimo scopro che il fotografo è un altro mio carissimo amico che ho perso di vista da parecchio tempo e che una quindicina di anni prima si era occupato di immortalare fotograficamente il mio matrimonio. E proprio a casa sua, in quel periodo, vidi visto quel libro e quelle fotografie. Il caso ha voluto che quell’immagine facesse un giro largo per arrivare a noi. Una fotografia che già conoscevo, ma che senza una concatenazione di eventi e l’intervento di altre persone non sarebbe mai diventata la copertina del nostro disco. Una storia che ancora oggi nel ripensarla mi sembra incredibile. Un’ultima cosa: con quella carrozzina in primo piano non potevamo più intitolare il disco “Soffocare”. E chi ha un figlio può immaginarsi bene il perché.

(Non ho) niente da sognare” è un lavoro più immediato, diretto ed immerso nel contesto rispetto a “Dalla ruggine”, più strumentale, riflessivo ed intimo. Questa cosa dipende dal fatto che sono stati scritti a distanza di parecchi anni oppure è ineluttabile conseguenza della situazione italiana attuale, troppo invasiva e pressante per potersi guardare dentro come invece si poteva fare qualche anno fa?

E’ molto difficile per noi capire il perché la nostra musica prende una direzione o un’altra. Per “Dalla ruggine” c’era una certa insoddisfazione nel modo in cui le nostre parole si univano alla musica e oltretutto in quel periodo mi era difficoltoso cantare e trovare una voce credibile. Non a caso gli ultimi brani scritti per quel disco furono proprio quelli strumentali. Chiuso quel capitolo, invece piano piano ci siamo accorti che quella dimensione non era più in sintonia con quello che stavamo vivendo e in un certo modo i testi delle canzoni scritte dal 2002 in poi (oltre a quelle di “(Non ho) Niente da sognare” ovviamente ne abbiamo composte e scartate altrettante) ne sono la diretta conseguenza. La prima canzone scritta in questa nuova fase fu “Il primo vento” che se vogliamo è una sintesi tra gli strumentali degli anni precedenti e la canonica forma canzone, con una ricerca vocale fino a quel momento non abituale per noi. Ma devo essere sincero: non c’è stato un momento in cui abbiamo riflettuto su come scrivere i nuovi brani. Forse è vero quello che dici, che le vicende personali e gli anni difficili che abbiamo dovuto superare dentro e fuori il gruppo, ci hanno spinto a una maggiore irruenza, a un approccio a volte più punk nel modo di suonare. Un po’ più spontaneità, anche nelle registrazioni, e meno compostezza, ragionamento. Ecco, “Dalla ruggine” per certi versi ha il difetto di essere troppo ragionato, ordinato, mentre il nuovo cd ha avuto una genesi in sala di registrazione quasi casuale e una lavorazione nel tempo totalmente caotica e disordinata. Fino all’arrivo, alla fine, di Fabio Magistrali che ha messo ordine a tutti gli ingredienti che avevo messo su nastro. Tornando alla tua domanda, devo però dire che per le tematiche trattate “(Non ho) Niente da sognare” è il disco che parla di noi, della nostra vita degli ultimi dieci anni e quindi in un certo senso, anche se la musica sembra dire tutt’altro, è il vero disco intimista dei due. “Dalla ruggine” difatti, nei testi si raccontano cose che abbiamo visto, ma non così inerenti alla nostra vita privata, arrivando a toccare temi socio-politici, come in “Via Corelli”. Certo, poi ci sono gli strumentali, che possono essere interpretati come si vuole, al di là dei titoli depistanti, tutti frutto però di letture di quegli anni.

Solitamente il termine sogno ha un’accezione quasi mitologica, cioè si sognano cose irraggiungibili o quasi e pressoché sempre inutili, non necessarie, infantili. Nel vs album la parola sogno assume invece un significato più reale, tangibile, quotidiano quasi che i tempi attuali abbiano bruciato anche la voglia di sognare “in grande stile”. Che poi se così fosse questo potrebbe essere uno dei pochi effetti salutari della crisi che stiamo tutti vivendo.

Più che un effetto della crisi che sta vivendo il nostro paese, che pur ovviamente ha la sua importanza, pesa molto di più il fatto che superati abbondantemente i quaranta per noi è un po’ difficile sognare come potevamo fare da ragazzi. Però, è vero, quello che dici tocca il punto centrale di tutto il disco. Con il titolo “Non ho niente da sognare” volevamo interpretare il pensiero e la condizione di questa generazione, degli adolescenti contemporanei e probabilmente anche di molti nostri coetanei. Tutto è così incerto, spaventoso, il futuro tutto a un tratto non sembra essere più possibile tanto che siamo diventati incapaci di sognare una condizione migliore. Ed è una cosa di per sé terribile. Questo senso di annichilimento penso sia la cosa peggiore che questa crisi ha portato.

Una storia come la vs con stop & go decennale può aver tratto giovamento dal web e dalle enorme possibilità di interazione virtuale ed in tempo reale? Che rapporto avete con la tecnologia?

Personalmente positivo. Non mi faccio rapire ne mi tengo a distanza, ma ne sono comunque affascinato per i suoi aspetti più strettamente legati alla comunicazione alla facilitazione nel mettere in circolo idee, movimenti, cultura e arte. Detto in parole povere, avrei voluto avere i social network a venticinque anni, o all’epoca di “Dalla ruggine”. Credo che la nostra storia sarebbe stata diversa. E’ inevitabile pensarlo. L’altro lato della medaglia di questo gioco è che la percezione della realtà è spesso distorta e, rimanendo nell’ambito musicale, sempre più spesso si dà importanza a fenomeni musicali innocui, trascurabili se non addirittura indecenti, che probabilmente non avrebbero neanche avuto motivo di esistere, o perlomeno non avrebbero avuto tanta eco, nell’era pre web 2.0. Insomma, il web in questo senso è un mezzo potentissimo, difficile da usare bene ed estremamente complicato da interpretare, ma altrettanto pericoloso e potenzialmente dannoso. Per dirla tutta, ed è la storia dei nostri giorni, non so se la musica rock italiana, e non solo, ne abbia tratto giovamento. Ho i miei seri dubbi.

La scenda alt rock in Italia mi pare piuttosto loffia. Cosa ne pensi? Hai per caso qualche band da consigliarci?

Al di là delle etichette, anch’io che nel marasma continuo di nuove proposte trovo sempre meno vere sorprese o dischi che vale la pena di ascoltare una seconda volta. Probabilmente è l’età e il rincoglionimento inarrestabile. Nonostante questo, ogni tanto qualcosa di valido da andare a sentire lo si trova. Per esempio Il buio, credo che dal vivo sia una delle migliori band che abbia visto negli ultimi anni. Tra quelli che hanno diviso con noi il palco ultimamente cito i Verbal, i brianzoli Nice e i giovanissimi Divers on the moon. Ho un amore incondizionato per ogni cosa di Marco Parente, Alessandro Fiori, Cesare Basile e Stefano Giaccone. Mi è piaciuto molto l’ultimo degli In Zaire e sicuramente dimentico un po’ di altre cose. Però posso dire che “Pezzali” del mio amico Unòrsominòre sia la migliore canzone italiana degli ultimi anni. Di contro sopporto poco l’ultima covata dei nuovi cantautori e il pop insulso di troppe nuove band interessate più alla forma (futile) della sostanza (spesso inconsistente).

Progetti e appunto sogni per il futuro?

Intanto stiamo lavorando a un nuovo video, che presenteremo a breve. Ma soprattutto c’è la voglia di scrivere e registrare un nuovo disco, possibilmente tra la fine dell’anno e l’inizio del prossimo, e questa volta in un arco di tempo breve. Per la nostra storia già questo sarebbe un sogno da realizzare e una bella novità.

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