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M’Importa Na Sega #17: MARC BRIERLEY – Hello

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È giovedì ma io no. L’unica rubrica derubricata in partenza nasce in un giorno di neve fitta sull’appennino e di pioggia stronza dentro casa mia. Per interrompere il conato di bestemmie in corso ho pensato di aver bisogno di fare una cosa bella e inutile. Come questa, ossia raccontare attraverso particolari storie (quanto più possibile non troppo note) di musicisti, dischi, canzoni e concerti, prestando ad essi ulteriori spunti a tema, equivoci maldestri e ricami personali con pretesa assoluta di incompletezza e strettamente ove impossibile e fuorviante, come fosse antani.

M’Importa ‘Na Sega #17: Classic (ma solo per me e il mio cane) – Marc Brierley, Hello

marc-brierley-hello-1969Marc Brieley è un inspiegabile mistero di oblio irrisolto in musica. Cantautore folk folgorato sulla via di “Sunshine Superman” e di Tanworth in Arden, ossia di Donovan e, udite udite, Nick Drake, oggi è fotografo e giornalista in tono minore, come minore è stata la sua carriera di musicista, in un’epopea di due album ed un EP, tra cui il qui presente “Hello”, del 1969, praticamente introvabile. Un disco ed un autore di cui non v’è traccia sul web, escludendo pochi appassionatissimi blog ed un paio di sacri links su youtube a bassissima frequentazione, un gioiello su cui in pochissimi, ad oggi, hanno messo le orecchie.

“Hello” e la sua storia di pressochè nullo riscontro commerciale è la dimostrazione finale, se ce ne fosse bisogno, che i discografici con la musica non hanno niente da spartire. Accendete le casse e fate partire la title track. L’insight che suggerisco sarà questione di attimi. Dolcissimi.

Donovan si palesa immediatamente nella prima traccia, “Sunny Weather”, uno scanzonato divertissement chitarristico che celebra una giornata soleggiata con semplicità ed immediatezza contagiosa, un motivo che avrebbe potuto far fischiettare intere ciurme di adolescenti se solo le autoradio degli stessi avessero avuto la compiacenza di trasmetterla. Poi, arriva “Lady Of The Light”, e compare, timidamente, il giardino acustico di Drake-iana memoria, se avete ascoltato (e dunque amato, a meno che non siate dei mostri) “Thoughs Of Mary Jane” aprite il cuore: un nuovo incanto si svelerà a voi, bucolico e romantico, forse persino mellifluo, nel ritornello centrale, ma s’intende, siamo a cercare l’ago nel pagliaio, ed i fiati disegnano continuamente sinuose curve armoniche a cui è lieto abbandonarsi.
“Today I Feel Like Living You” è un componimento che ricorda da vicino il Jackson C. Frank di “I Want To Be Alone”, cantautore che ha precorso ed è stato il mito musicale, appunto, di Nick Drake. Abbandono crepuscolare, lamento medidativo, uno slancio di malinconia in un disco pieno di altrettanto slanciato amore incondizionato per il tutto.  E’ la malinconia dell’abbandono, in una preghiera accompagnata da chitarra e gli archi della London Symphony Orchestra. Questa malinconia è spezzata immediatamente attraverso “O Honey” ed il suo andamento Honky-Tonk, per poi riprendere, meno contemplativa e più risoluta, nel tuffo spiritual-mistico di “A Presence (I Am Seeking)”, in cui Brierley disegna un delicatissimo intreccio di voce, chitarra e fiati, con questi ultimi che sembrano tuffarsi, immergersi, nella presenza spirituale interiore accennato dell’autore, cogliendone l’ampiezza e riversandola sull’ascoltatore, crepitante di grazia.
“The Room”, come amo definire canzoni di questo spessore, è un abbraccio sonoro, un “tappeto di velluto”, di straziante amore confessato al cielo attraverso un canto sofferto che si innesta sull’incantata melodia per chitarra, batteria, basso e organo Hammond. Una “In A Broken Dream” di Phyton Lee Jackson, in cui il sogno non solo non si è spezzato, ma si scopre cieco a vagare i vicoli della vita, cieco d’amore, appunto.
“Byrd Lives” è un riuscito abbozzo vaudeville, quasi a ricordare gli occhi da bambino che contemplano lo spazio immenso salutato in “Hello”, la “Northern Sky” di Brierley, una dichiarazione di tenerezza universale verso le leggi morali dell’imperturbabile amore che avvolge la memoria del nostro. Una canzone più delicata d’un neonato, con un coro angelico che sfiora ampiezze rare, pur nell’infinito panorama del folk 60?s. “Celeste”, per dirla alla Donovan, in un elastico d’emozioni che si spezza e si ricompone continuamente.
“Looking Around” raccoglie i petali lanciati al vento in un piccolo inno ristoratore di brulicanti chitarre ed un vivace ritornello con il falsetto sornione che riesce a far sorridere e commuovere per come si riorganizza tempestivamente dopo il travolgente l’amplesso sentimentale di “Hello”. Completamente imbambolati, giunge la finale “When Martha Comes”, e si consiglia lo spegnimento delle luci ed un raccoglimento d’amore per un disco che ne trasmette davvero moltissimo, e che tristemente è l’esperienza conclusiva nella carriera musicale di Brierley.
Per colpa di chi? Difficile dirlo, ma oggi, grazie alla rete, la musica di Brierley potrebbe fare come Martha, ossia “she is, to be yours”, intrecciando flauto ed archi, voce e chitarra, e soffiare via la nuvola che ci ha nascosto per anni un capolavoro di questa entità.

“Hello” è una favola in musica, l’ultima di Brierley, che con esso tentò l’ultimo approdo ad una carriera da folksinger che gli venne successivamente preclusa per sempre. A voi la scelta, tra l’essere bambini per 30 minuti e poco più ed affidarvi solo ai vostri sensi, o continuare ad ascolatare i magnetofoni con le loro reclame. Io vi invito a provare, e chissà che Brierley, un giorno, non ci faccia il dono di tornare in studio, per riprendere una storia finita anzitempo e di strabiliante bellezza. Ma se siete qua, su un blog sconosciuto, a leggere una storia dimenticata da tutti, ho buoni motivi per sperare nel vostro concedere credito alla sua musica e premere il pulsante play giusto qua sotto. Buon ascolto a tutti voi.

*Un grazie sincero a Sergio Renzetti per il suo aiuto decisivo nel reperire quest’album

[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=y1iAl2pR4nQ[/youtube]

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