Aprono con Superpezzi che, nella sua estrema semplicità, funziona: ce lo si ritrova in testa senza volerlo. Poi variano, senza tendere mai troppo ai ritmi spinti, alternando voci e strumenti, cantato e parlato, pezzi seri a momenti di ironia (la voce di “Dio” alla fine di Ma le Mele No, per esempio).
Il sottofondo quasi elettronico, l’epicità di una ballata, il recitato, i ritmi scat, le influenze blues, jazz, i passaggi psichedelici, la pace, la calma. Si passa attraverso tantissime cose prima di arrivare alla fine, Il Petalo del Fiore, col suo minutaggio molto sopra gli standard (16 minuti), dove si riassume tutto (per quanto possibile): innumerevoli cambi di stile e registro, tutti legati a doppio filo gli uni agli altri, ci trasportano da una parte all’altra senza che ce ne accorgiamo fino in fondo. L’ultimo pezzo, se non fosse in quest’album, potrebbe tranquillamente essere un EP per conto suo.
Un lavoro pregiato, in cui l’ecletticità incontra una qualità d’esecuzione davvero apprezzabile. Tuttavia non cattura sempre fino in fondo, complici forse le eccessive virate o la tendenza a mantenere dei ritmi abbastanza pacati: a parte qualche caso rimane vago all’orecchio, è difficile anche dopo molti ascolti ricostruire un ordine mentale delle tracce, ci si ritrova ogni volta persi nella musica che scorre senza riferimenti (bene o male che sia, a chi ascolta giudicarlo).
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