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Gli Amori Folli, di Alain Resnais


Scheda

Anno: 2014
Nazione: Francia
Durata: 104'
Regia: Alain Resnais
Cast: Sabine Azéma, André Dussollier, Anne Consigny, Emmanuelle Devos, Mathieu Amalric, Michel Vuillermoz, Edouard Baer, Annie Cordy
Distribuzione: BIM Distribuzione
Produzione: F Comme Film/Studio Canal/France 2 Cinéma/Bim Distribuzione con la partecipazione di: Canal+/TPS Sta
Sceneggiatura: Alex Réval, Laurent Herbiet
Fotografia: Eric Gautier
Scenografie: Jacques Saulnier
Montaggio: Hervé de Luze
Musiche: Mark Snow

Con Gli amori folli, Resnais ci stupisce due volte. Non solo ci dimostra che a ottantasette anni si possono fare ancora follie (è proprio il caso di dirlo, considerato il titolo), ma riesce persino a raccontare queste follie con lo spirito anarchico di un ragazzino; con Gli amori folli — che ragionevolmente possiamo credere uno dei suoi testamenti cinematografici —, commedia surreale, Resnais ci parla della (caustica o miracolosa che sia) casualità della vita e dell’illogicità come via di fuga da un mondo troppo squadrato.

Quando Georges trova il portafoglio smarrito da Marguerite, rossa dentista appassionata di velivoli, scorre le sue foto. Si dimentica, per un attimo, di essere un padre di famiglia e di essere sposato da piú di trent’anni, si perde. Un’irrazionalità momentanea, certo, ma che lo farà innamorare di Marguerite.
Il titolo originale, tradotto, significa «le erbe folli», che altro non sono che le sterpaglie che possono spuntare tra le crepe nel cemento — indesiderate, irritanti (come inizialmente è Georges per Marguerite), ma anche insensate e assurde (come può sembrare lo svolgimento del film) —; sono anche le crepe che l’occhio cinematografico va a cogliere qua e là durante il film.
Gli amori folli, adattamento di un romanzo di Christian Gailly, è una commedia rosa che stravolge gli stereotipi del genere e ne palesa le assurdità (l’approccio amoroso via telefono, che altrove sarebbe parso uno stratagemma valido, qui è messo in luce in tutta la sua stupidità), sino ad arrivare al falso finale con la sigla della 20th Century Fox, tramite cui Resnais — nel pieno spirito critico dei già giovani registi che popolavano le file dei Cahiers du Cinéma — lancia una frecciatina nemmeno troppo velata a un certo cinema americano.

Tra scambi dialogici brillanti e giochi registici non compiaciuti nel loro virtuosismo (la macchina da presa che si allontana dai protagonisti per cogliere particolari apparentemente irrilevanti), Resnais, ormai alla diciassettesima prova direttoriale, si serve del cinema di genere come pretesto per disquisire del cinema stesso (i dialoghi immaginari dei protagonisti, le frasi non dette o ripensate: le infinite possibilità drammaturgiche); nel vero finale, apparentemente criptico — una bambina che chiede alla madre: «quando sarò un gatto, potrò mangiare i croccantini?» —, strizza l’occhio a Kafka e alla sua allegoria vuota, unica risposta a un certo cinema psicanalitico-onirico. L’ennesima beffa in un raffinatissimo divertissment d’autore.

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