Uragani che passano e distruggono, di questo è composta la realtà degli Eyehategod. La band di New Orleans si è vista passare sulla testa prima l’uragano Katrina e poi la morte del batterista Joe LaCaze. L’occhio del ciclone è invece sempre stato Mike IX Williams, voce/distruzione della band della Louisiana, ammantato di quell’aura autolesionista e velato di addiction alle droghe.
Ma Katrina s’è portato via anche quel Mike IX donandocene uno totalmente nuovo, ripulito sì, ma non meno violento e impietoso alle prese con un nuovo livello di odio vocale, forse il migliore da lui registrato finora. E la dimostrazione inoppugnabile è il nuovo disco della sua creatura, un disco omonimo, quasi a voler ricominciare da zero, per creare e poi disgregare senza batter ciglio tutto ciò che c’è attorno. Al nuovo inizio partecipa il nuovo batterista Aaron Hill e lo fa con una (dis)grazia che non delude.
L’anima nera e putrida degli Eyehategod prende nuove pieghe tramutando le influenze in umore da battaglia e l’hardcore diventa coltello arrugginito tra denti d’ossidiana (le cartelle ardecore “Agitation! Propaganda!” e “Framed To The Wall” che contiene quel tanto di southern che serve a far vomitare sabb(i)a), mentre il dolore in vangate circolari aleggia insaziabile tra i solchi di questa tomba putrescente sludge (“Trying To Crack The Hard Dollar” è movimento ondulatorio omicida, “Parish Motel Sickness” è il legame con lo sludge palustre degli esordi rivestito di arrogante malvagità) l’ovvia influenza dei Down, essendone il chitarrista Jimmy Bower componente attivo, si fa sempre più presente senza snaturare l’odio primevo della band (l’esempio campione è “Quitter’s Offensive” ma anche le ripartenze e i riffoni di “Nobody Told Me” non sfigurerebbero se a cantarli fosse sir Philip Anselmo, che se vogliamo dirla tutta ha pure registrato le voci di questo dischetto). E a proposito di odio primevo: il gioiello palustre di questo macello sonoro è proprio la “classica” lerciata di “Flags and Cities Bound” nei suoi sette minuti di incubo.
Un incubo lungo un disco, pieno di fischi a sei corde, feedback e merda, ma merda di quella buona, come piace ad un cantante italiano che conosciamo bene tutti. Forse gli Eyehategod li ascolterebbe.
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