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Blonde Redhead – Barragàn

2014 - 4AD
pop/alternative

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Tracklist

1.Barragàn
2.Lady M
3.Dripping
4.Cat On Tin Roof
5.The One I Love
6.No More Honey
7.Mind To Be Had
8.Defeatist Anthem (Harry And I)
9.Penultimo
10.Seven Two

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A pochi mesi dal ventesimo anniversario del loro primo e omonimo album, i Blonde Redhead realizzano “Barragàn”, un album che segna un altro capitolo di quel nuovo percorso artistico intrapreso dal gruppo di Kazu Makino e dei fratelli Amedeo e Simone Pace a partire dall’inizio del secolo.

La band, che quasi due decenni fa pareva essere tremendamente influenzata da Steve Shelley dei Sonic Youth, fondatore della casa discografica che ha pubblicato i loro primi due album, conferma d’aver maturato col tempo un’identità forte, uno stile inconfondibile, nel bene e nel male. La componente noise è svanita: come gli altri album firmati 4AD, anche “Barragàn” si muove tra dream, art e rock sperimentale e ben poco indie/noise,
L’album inizia con due tracce fra le migliori, tra sonorità quasi shoegaze, come quelle di Lady M e beat avvolgenti, come quelli di Dripping, brano in grado di rimanere impresso per la sua particolarità, specialmente rispetto ai pezzi immediatamente successivi, “Cat on Tin Roof” e “The One I Love” (i R.E.M. qui non c’entrano), incapaci di lasciare un segno profondo.
Varrebbe lo stesso discorso per “No More Honey”, pezzo che però s’impreziosisce d’un finale più grintoso e che ricorda un po’ i primissimi dischi della band.
“Mind To Be Had” è sicuramente il punto più alto di tutto l’album: un pezzo che, da solo, costituisce quasi un quarto della durata dell’intero album, cantato da Amedeo Pace. Il ritmo è incalzante, le sfumature in sottofondo creano atmosfere quasi dream e accompagnano l’ascoltatore in ambienti magici, come nessun’altra traccia di Barragàn sia in grado di fare. E se “Defeatist Anthem (Harry and I)” coglie il meglio di questa virata art della band, mantenendo un livello decisamente buono dopo “Mind to Be Had”, non si può dire altrettanto dei due brani in chiusura, che pur non essendo malvagi non riescono a impressionare.

I Blonde Redhead confezionano un album frutto d’un percorso che ha portato la band ad avere un’identità chiara e forte, magari anche troppo per molti fan di vecchia data, che si trovano di fronte a un nuovo disco privo di quella grinta che ha segnato gli esordi della band, ma che ha restituito originalità con l’estenuante ricerca d’un sound personale e in grado di caratterizzarli finalmente.
Sul bilancio complessivo, però, grava il macigno dell’assenza di pezzi in grado di rimanere impressi per davvero o di appropriarsi d’un posto fisso nella scaletta dei futuri concerti.

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