Dopo mesi e svariati album raPcapriccianti finalmente un periodo fortunato e si spera ulteriormente propizio per la scena nostrana: Mistaman, Ghemon, Willi Peyote e ora Taiyo Yamanouchi alias Hyst, fratello > di Jesto e figlio del grandissimo Haruhiko, attore caratteristica con una carriera cinematografica e televisiva da paura.
Fatte le presentazioni, torniamo quindi a “Mantra” con il poliedrico artista italo giapponese a proporre un disco che gira agile fin dai primissimi play, ben dosato com’è grazie a sole 12 tracce (non le consuete 28 tra intro, skip 1, outro, ecc.) e a sonorità eterogenee ma non troppo, in grado così di assecondare contenuti e rime dallo stile friendly e colloquiale ma allo stesso tempo elegante e maturo.
Hyst ha capito come l’essere real sia l’unica arma per distinguersi dal resto della scena: è inutile e privo di senso fare a gara a chi ce l’ha più duro e/o lungo, quando nel 99% dei casi stiamo ascoltando cazzate orientate unicamente al mercato. La cosa migliore da fare è raccontare quello che si vede e vive senza filtri ne piedistalli e, alla stessa stregua, raccontarsi per quello che si è realmente nella vita di tutti i giorni, facendo di questa normalità un vero e proprio valore da difendere con le unghie e con le rime.
12 tracce godibili, prodotte con precisione e perizia tra gli altri da Big Joe, Fid Mella e Turi ed impreziosite da featuring di prima fascia (Kiave, Mista e Willie Peyote, giusto per citarne alcuni) ma sempre ben dosati ed a fuoco. Il tutto per un album che non stupisce per chissà quali effetti speciali, ma che si rivela a presa rapida arrivando pressoché immediatamente al cervello ed al cuore. Menzione particolare per “Cassandra”, vera e forse unica bomba dell’album, “Essere o non essere” e “Sempre”.
Benone. Avanti così.
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