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Opeth – Pale Communion

2014 - Roadrunner Records
prog/metal

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Tracklist

1. Eternal Rains Will Come
2. Cusp of Eternity
3. Moon Above, Sun Below
4. Elysian Woes
5. Goblin
6. River
7. Voice of Treason
8. Faith in Others

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A tre anni da quel punto di non ritorno chiamato “Heritage”, gli Opeth si sono trovati di fronte a un bivio: continuare, coraggiosamente, a viaggiare sulla strada del prog o tornare indietro verso il metal estremo?

“Heritage” era stato in grado di dividere critica e fan come probabilmente nessun altro album aveva fatto.
Tra chi aveva completamente abbandonato la band, ricordando con nostalgia il passato fra riff aggressivi e growl, a chi aveva accolto, più o meno bene, la brusca inversione di tendenza, riconoscendo il valore di un album che, pur diverso, portava comunque in dote un’ora di buona musica. Åkerfeldt non aveva mai negato un particolare apprezzamento per il prog degli anni sessanta e settanta e, così, già in tanti avevano intuito che anche “Pale Communion” dovesse rappresentare il secondo capitolo della nuova storia della band.
Il disco, anticipato da un pezzone qual è “Cusp Of Eternity”, si presentava con un biglietto da visita decisamente interessante. Il resto del disco sembra essere la naturale evoluzione di “Heritage”, una sorta di tentativo di perfezionamento del nuovo sound, tutto sommato riuscito. Se trovare il brano in grado di ergersi a cavallo di battaglia dell’album pare una scelta difficile e, magari, anche inutile, va sottolineato come il livello si mantenga abbastanza alto per tutta la sua durata, senza mai raggiungere l’eccellenza, ma ben lontano dalla mediocrità. L’epicità dell’intro (“Eternal Rains Will Come”) crea atmosfere suggestive in un crescendo musicale continuo, che tocca il suo punto più alto nell’assolo della parte centrale. Il disco si rivela piuttosto complesso, tanto che descrivere ogni suo brano pare davvero impossibile. “Moon above/Sun below”, strutturata in due parti, presenta continue evoluzioni, continui cambi di ritmo, senza soluzione di continuità per tutti i suoi undici minuti di durata, anticipando il momento più romantico e intimo di “Pale Communion”, con Åkerfeldt che canta su una dolce chitarra acustica. Se “Goblin” quasi ipnotizza col suo ritmo, il tono solenne di “Faith in Others” è la giusta conclusione per un album che pare una sorta di labor limae applicato a “Heritage”.

“Pale Communion” non sarà amato dai fan di vecchia data della band, ma mette in risalto tutta la classe e il coraggio di chi ha saputo cambiare rotta drasticamente, sapendo di sopprimere l’anima più metal della band a vantaggio di un recupero della tradizione progressive di qualche decennio fa, con un lavoro ancora non esaltante, ma già superiore a “Heritage”.

[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=CoW3Sywb5xQ[/youtube]

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