Partono criptici, con Saturazione, con un ritmo molto alto in uno dei migliori pezzi dell’album (simula quasi un pezzo dei Fuzz Orchestra rivisitato dal synth), per accoglierci a dovere. Poi si schiacciano un po’ sulla scia dei Baustelle, perdono carattere, si schierano verso un pop elettronico molto meno aggressivo del previsto.
Non comunque sono mai banali, riempiono di citazioni (dalla strage di Bologna a Muhammad Ali) che l’ascoltatore difficilmente si aspetta per la leggerezza di alcuni pezzi. Tornano meno accomodanti in La Nostra Stanza, strumentale (uno dei tre) più carico d’ansia del resto, che spacca a metà l’album.
Si cambia fortunatamente quasi tutto, Alì Bumaye risveglia emozioni non da poco, Il Brigatista è noir sul serio, si scopre un lato degli Elettronoir che era difficile intuire nei primi pezzi, quando la melodia sembrava doverla sempre fare da padrona su tutto. Chiudono con Solea, con il pianoforte che prende il posto di tutto, per rivendicare l’ennesima libertà del cambio di stile e di direzione.
Un lavoro lungo, diciotto pezzi, da salvare a metà: quando sperimentano, vagano, alludono a stili e gruppi sparsi nell’immaginario collettivo, si dimostrano eccezionali. Quando alleggeriscono, sfrenano nel pop, rimangono intrappolati in voci sdolcinate e mancanza di mordente, deludono abbastanza, soprattutto se si riascolta il tutto e ci si rende conto di cosa effettivamente nascondono.
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